Corriere della Sera, 18 giugno 2016
Fernando Alonso è contento anche senza podio: «È stimolante e poi mi capita anche una cosa curiosa, quando guardo in tv i colleghi scopro che, per un verso o per l’altro, poche volte sono felici. Il secondo è triste perché magari era in pole e ha perso; il terzo è super triste perché è stato battuto pure dal secondo...»
Fernando Alonso s’è scocciato di ripetere un pensiero ormai chiaro. Non ha rancore verso il Cavallino, anzi è onorato di aver fatto parte della sua storia, ma di questa storia, ora, non ne vuole parlare. Il passato è il passato e poi c’è sempre qualcuno davanti alla Rossa: ieri la Red Bull, oggi la Mercedes. Finché l’andazzo non cambierà, Alonso avrà sempre la certezza di aver fatto bene a lasciare Maranello. Dunque, parliamo d’altro: di un bilancio della carriera, della McLaren, del futuro, del Fernando privato che considera di diventare papà. Dettaglio accessorio: l’ultimo Gp d’Europa, nel 2012 a Valencia, lo vinse lui e fu uno dei punti più elevati del suo periodo ferrarista. «Ma stavolta a Baku sarà difficile confermare quel titolo...».
Fernando, la McLaren Honda è un’altra cosa rispetto a quella del 2015.
«I passi avanti sono stati enormi: sul piano aerodinamico è più sofisticata. Dobbiamo migliorare motore e affidabilità: manca potenza, ma sappiamo dove stanno le lacune».
Quando sarete di nuovo competitivi per il Mondiale?
«Penso, spero, già l’anno prossimo. Sono più preparato che mai: quando hai un’auto poco competitiva, il rischio è di rilassarsi. Qui è il contrario: esploriamo ogni risorsa. Aspetto il giorno della riscossa con più fame che nel passato».
Un brutto crash a Melbourne all’esordio, un Gp saltato per precauzione in Bahrein. Poi la ripresa: come va con il fisico?
«Ho ancora dei dolori. Alcuni movimenti che richiedono l’uso della muscolatura attorno alle costole creano qualche disagio».
L’anno scorso c’era stato pure l’incidente di Barcellona: il concetto di paura s’è insinuato in Fernando Alonso?
«Non ho avuto una paura specifica in entrambi gli incidenti. Il vero spavento l’ho vissuto nel 2012 a Spa quando vidi la Lotus di Grosjean passarmi a un pelo dalla testa. Però l’incidente di Barcellona, nonostante sia stato meno spettacolare di quello di Melbourne, mi ha dato maggiori preoccupazioni: il recupero è stato complicato. Chi corre sa che può succedergli qualcosa: diciamo che io ho già dato e che sono a posto per il futuro».
È vero che a Melbourne sperava di riprendere?
«Sì. Ero nella medical car e vedevo che la corsa era stata fermata. Volevo superare alla svelta la visita di controllo, tornare ai box e, se l’auto fosse stata recuperata, saltarci su. E se fosse stata troppo danneggiata, immaginavo di poter prendere il muletto. Ma il muletto, si sa, ora non c’è più... Zero paura e solo adrenalina: noi piloti siamo fatti così».
Il digiuno di risultati aumenta le motivazioni?
«La routine della non vittoria può appiattire o stimolare. A me stimola. Mi capita anche una cosa curiosa, non frequentando il podio da tempo: guardo in tv i colleghi e scopro che, per un verso o per l’altro, poche volte sono felici. Il secondo è triste perché magari era in pole e ha perso; il terzo è super triste perché è stato battuto pure dal secondo...».
Via radio capita di udire la sua frustrazione.
«Spero che la Fia smetta di tagliare le comunicazioni: i messaggi arrivano incompleti. Una volta sembrava che volessi ritirarmi, invece volevo solo fermarmi per cambiare le gomme ed essere più veloce. Però, se perdi, è vero che il lavoro pare più pesante».
A 34 anni è ora di bilanci.
«Non posso chiedere di più alla carriera. Due titoli sono pochi? Non si può vincere sempre. Mio papà lavorava in una ditta di esplosivi, mia madre vendeva profumi. E io sono qui, due volte iridato dopo aver corso per 15 anni con i migliori team. Il sogno si è realizzato, sono un privilegiato».
E il Fernando del futuro?
«Il 2017 sarà un anno chiave. Scadrà il mio contratto, macchine e gomme cambieranno parecchio. Magari ci si divertirà di più e allora vorrò restare a lungo. O magari sarò catturato da altre categorie. Non credo che riuscirò a stare senza guidare. Mi mancherebbe troppo, dovrò trovare un volante: io cerco l’adrenalina».
Idea: restare nei motori come manager di un team o di piloti?
«No: dovrei continuare a sacrificare tutto di me stesso. Ma quando cessa il vero divertimento, cioè guidare, girare il mondo diventa pesante e insensato».
Arrivano i nuovi eroi: Verstappen, Vandoorne, Magnussen…
(risata) «Stoffel avrà più difficoltà… (ndr: è riserva alla McLaren). I ragazzi della nuova generazione hanno un super talento, ma sono anche preparati sul piano fisico. La tecnologia, poi, li aiuta: lavorano molto al simulatore e arrivano alla F1 già pronti. Vent’anni fa, invece, saltavi su una macchina e scoprivi tutto».
Rosberg o Hamilton per il Mondiale?
«Nico aveva un margine importante e credevo lo potesse gestire: invece se l’è mangiato. È il momento di Lewis, ma quest’anno il fattore decisivo sarà l’affidabilità. I dettagli detteranno la differenza».
Nel paddock si vedono Felipinho Massa, Robin Raikkonen. Quando si aggiungerà Fernando junior?
«Devo cominciare ad allenarmi, qui sono ancora nel… primo turno delle libere».
Si risposerà mai?
«Non programmi una cosa così. Però sì, dai, l’idea c’è».