Libero, 19 giugno 2016
Le banche la crisi ce la fanno pagare cara. Abbiamo commissioni e costi più alti d’Europa
Nei prossimi anni molte banche non ci saranno più. Non solo per via delle fusioni e del consolidamento del settore. Ma anche perché taluni istituti si saranno messi a fare un altro lavoro. Che sia la consulenza patrimoniale o quella immobiliare. Sul fronte opposto, aziende come Apple, Starbucks o Amazon presteranno denaro e spingeranno in là l’asticella dei servizi tanto da rivoluzionare l’intero mondo del credito. Nel frattempo, però, la crisi del comparto bancario – che pur stringe ogni anno di più la cinghia – finisce col cadere inesorabilmente sui clienti.
Bail-in e crac a parte, a pesare sempre di più sono le commissioni e i costi: i più alti d’Europa. «Nonostante il calo registrato negli ultimi anni i costi strutturali del sistema bancario tricolore rimangono i più elevati dell’Unione», spiega la Cgia di Mestre da un cui studio emerge come nel 2014 le spese operative siano state pari a 49,5 miliardi di euro, ovvero l’1,83% del totale delle attività (che a fine 2014 ammontavano a 2701 miliardi). Un’incidenza, insomma, nettamente superiore alla media delle prime dieci economie Ue. Se nel 2014 i margini di interesse (ovvero i guadagni provenienti prevalentemente dall’erogazione del credito) sono scesi a 39,3 miliardi di euro, quelli delle commissioni bancarie nette sono saliti a 27,6 miliardi e quelli riconducibili ad altri ricavi, cioè da attività extra-creditizie o di trading finanziario (vendita di titoli, valute, strumenti di capitale) hanno toccato quota 11,4 miliardi. Il risultato è che – laddove tra il 2008 e il 2014 il totale dei ricavi del nostro sistema creditizio è rimasto pressoché lo stesso (78,3 miliardi) – la contrazione dei margini di interesse è stata pari a 12,3 miliardi (-23,8 per cento), mentre le commissioni bancarie, invece, sono aumentate di 2,8 miliardi (+11,5 per cento) e gli altri ricavi sono saliti a 9,4 miliardi (+474 per cento). Senza contare che l’incidenza del margine di interesse sul totale dei ricavi operativi di una banca in Italia è pari al 50,3 per cento. Si tratta del risultato più basso in Europa, ad eccezione della Francia (vicinissima, con il 50,2 per cento). «Questo», aggiunge la Cgia, «vuol dire che le banche italiane presentano un’incidenza dei guadagni da attività legate ai prestiti bancari sul totale ricavi (margine di intermediazione) tra i più bassi in Ue». Lo si evince anche da tre grafici che se incrociati rendono chiaramente lo stato di salute del sistema e la capacità intrinseca delle banche di guadagnare soldi dal proprio core business. Il primo garfico è costituito dalle sofferenze, il secondo dagli impieghi e il terzo dalla raccolta. Negli ultimi cinque anni le sofferenze sono salite mediamente nove volte tanto la crescita degli impieghi. In parallelo, la capacità di raccogliere fondi dalla clientela è scesa con gradini annuali superiori al 10%. Ovviamente a peggiorare la situazione, di cui le banche sono vittime, c’è il quantitative easing.
Considerando l’enorme crescita delle sofferenze in capo alla clientela e il fatto che la riduzione dei tassi di interesse ha ridotto ai minimi i margini di redditività, gli istituti di credito «appesantiti da costi fissi ancora molto elevati, si sono trovati a ridurre gli impieghi, e quindi i rischi» (scesi fra aprile 2015 e 2016 di 25,3 miliardi)», commenta la Cgia e «ad aumentare i ricavi dalle commissioni sui conti correnti, sui servizi bancomat, i servizi di incasso o pagamento e dalle attività non creditizie». In pratica, tutto il contorno e tutto ciò che non è ciccia.