Il Sole 24 Ore, 19 giugno 2016
Facce sporche, il mondo del calcio, tra integrazione e scontro. Un bell’articolo di Alberto Negri
Questo non è solo un campionato di calcio ma sugli spalti e fuori si consuma una sorta di dramma epocale. Viene messo in scena un conflitto che coinvolge seguaci del jihadismo, hooligans, tifosi esaltati, gente che vuole uccidere o picchiare e altra che vorrebbe soltanto festeggiare allegramente nella “fan zone”, bersaglio, secondo gli inquirenti di Bruxelles, di possibili attentati davanti ai megaschermi degli europei.
Ma qui non festeggiano neppure i goleador, se è vero che Eder, nuovo eroe italiano, dichiara, dopo la partita con la Svezia, che per gli oriundi da noi la vita è ancora complicata. Meno male che i suoi compagni di squadra sono Chiellini e Barzagli, delicato raccoglitore dei coccinelle, mentre il Ct è Antonio Conte, un pugliese di ferro che forse amava la “cara sucia”, la “faccia sporca” dei sudamericani che come Angelillo, Maschio e Sivori facevano impazzire con le loro prodezze balistiche l’Italia degli anni Sessanta.
Tutti qui abbiamo la faccia sporca, eppure quello che viviamo non è più un confortante film in bianco e nero di Hollywood. Se il premier francese Manuel Valls – probabilmente con ragione – afferma che la guerra al terrorismo durerà un’altra generazione, in Medio Oriente dura da almeno tre, facendo data dal 1979 (invasione sovietica dell’Afghanistan), con i passaggi del 2001 (attentati dell’11 settembre) e 2003 (occupazione Usa dell’Iraq). Ma al di là della sequenza storica, gli errori americani, francesi, occidentali, sono stati epocali: se fossero intervenuti contro Assad come volevano fare nel 2013 Washington e Parigi ora la Siria sarebbe in mano ai jihadisti mentre la Russia ha salvato un regime che per quanto brutale e impresentabile sta per battere con il sostegno di Mosca e dell’Iran il Califfato. Ma l’Occidente considera questa eventualità una sconfitta non una vittoria. Certo che non sarà una vittoria ma non per le ragioni geopolitiche che pensano al quartier generale della Nato e negli Stati Uniti.
La sconfitta militare dell’Isis non solo non rappresenterà la fine del terrorismo, ma la sistemazione politica della regione sarà così problematica che si profilano nuove guerre. Bisognerà capire quali combattere e quali no, e soprattutto con quali alleati. La Turchia, membro della Nato è affidabile? Lo è l’Arabia Saudita dispensatrice di petrodollari? Questi Paesi, clienti e alleati, fomentano un Islam radicale o un iper-nazionalismo autoritario in salsa islamica, come nel caso di Erdogan, che peggiora soltanto le cose. Viviamo contraddizioni stridenti perché in Europa non rinunciamo né a Erdogan né ai petrodollari e neppure al generale Al Sisi.
La Francia e il Belgio – e forse anche noi tra un po’ – devono poi affrontare i loro acuti problemi interni di integrazione: i simpatizzanti della Jihad escono dalle carceri ancora più radicalizzati, come per altro sempre è avvenuto in questi anni, basti pensare sul lato francese a Charlie Hebdo, al Bataclan, agli attentati di Bruxelles in marzo, e su quello americano a Guantanamo o al caso clamoroso di Al Baghdadi, detenuto nelle prigioni americane in Iraq e poi rilasciato. Sul suo foglio di detenzione di Camp Bucca alla voce professione è scritto «impiegato amministrativo». In fondo i jihadisti sappiamo chi sono, dipende se vogliamo conoscerli oppure farci i soliti e inutili interrogativi ogni volta che c’è un attentato. Li conoscevamo ma li abbiamo lasciati andare liberi di colpire. Forse abbiamo problemi più importanti da risolvere?
Non dimentichiamo comunque, se un giorno volessimo uscirne, le “nostre” facce sporche. Verona, 17 giugno 1990. Il Belgio affronta l’Uruguay nella seconda giornata ai Mondiali italiani. È il 22’ del primo tempo. Enzo Scifo riceve un pallone centrale e scarica una rasoiata da 35 metri, secca, angolata, a filo d’erba. 2-0 Belgio. La partita finirà 3-1. Vincenzo Scifo, oggi allenatore dell’Under-21, nacque in Belgio nel 1966, era soprannominato il “muso nero”: così venivano chiamati gli italiani che il lavoro nelle miniere e la miseria non rendevano certo puttini raffaelleschi. Abbiamo sempre a che fare con facce sporche, le nostre e quelle altrui, nel bene e nel male.