la Repubblica, 19 giugno 2016
LeBron James vs Stephen Curry. Questa notte si gioca la finale della Nba
Alla fine ne resterà uno solo. Nel modo più bello, più giusto, più limpido dello sport: l’ultima sfida, faccia a faccia. Qui, nella finale Nba, sarà una settima partita. La bella. Nel caso, la bellissima. Iniziando la contesa alle due italiane di domattina, diranno la notte sulla West Coast o l’alba dei nostri ballottaggi risolti chi, fra LeBron James e Stephen Curry, avrà fatto suo l’anello di campione.Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors, le squadre che guidano da capobranchi, sono sul 3-3, dopo saliscendi inebrianti. Sul 2-0 e poi sul 3-1, il bis dei Warriors dopo il titolo dell’ anno scorso pareva scolpito. Sul 3-3 risalito dai Cavaliers, con ondate di gioco prepotenti, non solo di King James (due ultime partite da 41 punti l’una, comunque), la spinta pare irresistibile per violare pure la casa altrui, scena dell’atto finale.LeBron scorrazza in Suv con familiari e amici nella notte dell’Ohio natìo, dove vorrebbe portare il primo titolo (i suoi due li ha vinti in cattività, a Miami), dichiara che «giocherei una gara 7 ovunque » e agita i sonni altrui. Dall’accampamento di fronte si traggono invece cupi indizi da inediti nervosismi di Curry. L’impervia gara 6 di Cleveland gli ha spento il sorriso soave all’uscita per sei falli, scagliato poi contro un tifoso Vip il paradenti associato ad ogni suo primo piano. Pagare 25mila dollari di multa non è stato esoso, chiedere scusa il minimo dovuto, dissolvere il sospetto d’ira funesta per l’onnipotenza smarrita resta la spina più dolorosa. Gara 7 racconterà anche questo.Poiché nei playoff si deduce sempre dall’ultimo atto ammirato (sbagliando, visto che ogni partita riparte da zero, non solo sul tabellone, ma pure nei contenuti tecnici e negli umori collettivi), tanti favoriscono i Cavs. Che di sicuro hanno saldato meglio il loro gioco, non più affidato alle sole folate di James, ma pure ad un suo imprevisto altruismo, che ha ispirato le goleade di Kyrie Irving o di Tristan Thompson, non ancora di Kevin Love, ricambiato con ostentata freddezza dal capo, che l’attende a prove meno pavide. Ma è James che, fatti 181 punti nelle sei sfide, non finisce lì: è pure, nei Cavs, primo nei rimbalzi (68) e negli assist (51). Il più forte del mondo. Vincesse questa, con un team meno rodato di quello nemico, assalterebbe, a 31 anni, e alla settima finale di fila, le classifiche “tutti i tempi”.Di là, con 141 punti globali (che sono pur sempre 23,5 a notte), Curry mostra voli di farfalla meno leggeri di quelli che in inverno gli facevano sbriciolare record di tiro e cuori di innamorati del suo gioco facile, felice, quasi irridente. L’impatto è meno forte, contro marcature spietate, così come quello del “gemello” Klay Thompson, che prova ad alzare la voce («per il titolo punterei ancora su di noi»).Ma soprattutto il gruppo sembra pagare gli eccessi agonistici del suo leader acclarato, il feroce Draymond Green, che ha saltato gara 5 per squalifica (colpo a Le-Bron), e pone oggi malevoli enigmi sul suo impiego. La voglia di Kerr è destinarlo alle falcate spadroneggianti di “Lbj”, il dubbio è che sia già troppo guardato a vista dagli arbitri per le ripetute scorrettezze (specialità, i calci nelle altrui virilità).Detto che di sei partite non se n’è ancora vista una “stretta” (i Warriors han vinto di 15, 33 e 11 punti, i Cavs di 30, 15 e 14), di sicuro c’è solo che questa va scatenando follie. Due biglietti all’Oracle Arena sono stati pagati 99 mila dollari, 49.500 l’uno. Prima fila, ci mancherebbe.