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 2016  giugno 19 Domenica calendario

Antonio Conte, le magliette azzurre e il tifoso intermittente

Montpellier «Caro Antonio, fregatene». Il condottiero Antonio (Conte) ha lanciato l’ecumenico appello ai tifosi: «Coloriamoci tutti d’azzurro». E ieri sera ha ribadito: «In queste occasioni torna l’amore per la maglia azzurra spesso bistrattata in passato». Daniele Massaro, finalista con la Nazionale ai Mondiali Usa 94, con amichevole ironia risponde: «Sì, d’accordo, lo stadio era emozionante. Il colpo d’occhio degli svedesi eccezionale. Ma... alla fine?». Alla fine? «Loro tutti belli vestiti di giallo se ne sono andati a casa con zero punti». Dunque: «Caro Conte, indossare le maglie delle squadre non è nella mentalità dei tifosi italiani. Nessuno credeva in questa Nazionale e invece hai dimostrato che si sbagliavano. Continua a lavorare. Le maglie importanti sono le 11 che portano i giocatori». Azzurro simbolo d’unità, di attaccamento non solo alla squadra, ma all’Italia. La linea di ragionamento è corretta? Spesso l’associazione gronda retorica. Forse è vero che siamo un Paese di tifo parcellizzato, che non sa associarsi neppure di fronte al più unificante dei reagenti: il calcio. In risposta a Conte, su Twitter, spunta l’orgoglio delle micro-identità. Cose così: «La mia nazionale ha la maglia viola» (tifoso fiorentino). Giancarlo Antognoni, campione del mondo in azzurro, segue la linea-Conte: «Anche se abbiamo un’indole diversa, si potrebbe stringersi in maniera più evidente intorno alla Nazionale». Ma in che modo?
«Quando ho letto le parole del nostro Conte, m’è venuto da sorridere», racconta Marino Livolsi, sociologo, che nel 2011 ha pubblicato un libro dal titolo: Chi siamo. La difficile identità nazionale degli italiani (il suo ultimo lavoro è: Il riformismo mancato. Milano e l’Italia dal dopoguerra a Tangentopoli, Bollati Boringhieri). «Lo stadio più azzurro? – riflette Livolsi —. Che sia soprattutto una folla festante, che rida, metta striscioni e faccia qualche sceneggiata all’italiana, non tipo i croati, ma neppure come gli svedesi. Qui non è che va salvata la patria. E speriamo che nessuno la butti in politica, dicendo che l’Italia va bene o male a seconda dei risultati della Nazionale». Ma perché sembra che i tifosi azzurri mostrino meno entusiasmo negli stadi dell’Europeo 2016? «Diciamola tutta non è che ultimamente la squadra andasse un gran bene. Ora che si sono visti impegno e risultati, l’entusiasmo sta salendo. Ma la passione può salire solo così, non per ordine di scuderia, né per una liturgia standardizzata».
Il concetto è: sono i risultati che fanno calore popolare. Ed è il calore che (forse) farà stadi più azzurri. Una linea seguita con sorriso disilluso da Pasquale Bruno, ex di Juve, Torino e Hearts di Edimburgo: «Gli anglosassoni hanno un amore diverso per le Nazionali. Noi siamo così, ci scopriamo patrioti quando si vince, quando andiamo in finale». E comunque, il «tifo vestito» resta fuori dalla nostra tradizione: «Anche per i club non si va in massa allo stadio con la maglietta della squadra – spiega Demetrio Albertini, bandiera del Milan e della Nazionale, capo delegazione dell’Italia nel 2012 e nel 2014 – ma capisco l’appello di Antonio, i piccoli gesti dei tifosi possono dare un impatto alla squadra. Negli altri Paesi anche per Mondiali ed Europei ci sono viaggi di gruppo, fan club. Da noi no, anche se la Nazionale unisce tantissimo».
Giuseppe Giannini, storico capitano della Roma e semifinalista a Italia 90, ne fa una questione ancor più tecnica: «A livello psicologico, per i calciatori, trovarsi immersi in una massa compatta di colore ha un peso, anche se poi si inizia a giocare e l’effetto passa».
L’ambiente conta: «Guardo spesso la Bundesliga – riflette Giorgio Simonelli, docente di Storia della radio e della TV all’università Cattolica di Milano – e in Germania il colore è l’elemento in cui più si identifica il tifo, dai noi i simboli sono altri, più verbali che cromatici. C’è però un secondo elemento. Finora in Italia c’è stata una partecipazione più mediatica che popolare a questo Europeo. Mentre per altri Paesi, penso a Svezia, Irlanda, Islanda, Galles, ha rappresentato un appuntamento nazionale, le persone hanno preso ferie e organizzato viaggi. È ovvio che siano tifoserie di maggior impatto visivo. E poi ricordiamoci: gli stadi italiani, anche con i club, sono sempre più desolati».