Corriere della Sera, 19 giugno 2016
Tavecchio, dall’inferno al paradiso in men che non si dica
Santo subito. Carlo Tavecchio al centro della foto ricordo della Nazionale italiana, bello come un pascià; Tavecchio palleggia sul campo di allenamento di Montpellier, alla vigilia della partita con il Belgio; Tavecchio al microfono di Donatella Scarnati canta La fisarmonica di Morandi; Tavecchio benedice Ventura contro i «cattivi» che volevano Montella; Tavecchio il cocco di Rai Sport; Tavecchio, il Mr Wolf di Ponte Lambro, è l’unico dirigente che risolva con pragmatismo una grana al giorno…
Dall’inferno al paradiso, in men che non si dica. Ma il ragionier Tavecchio, il presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio, non era quel tardo democristiano inviso alle nuove leve del pallone? Non era il tipo che rappresentava in tutto e per tutto le vecchie incrostazioni del nostro sport più nobilmente plebeo, l’uomo manovrato da Lotito e Galliani? Non era quello che a proposito di giocatori extracomunitari aveva tirato in ballo Opti Poba, il mangiatore di banane privo di pedigree? E cosa diceva delle calciatrici?
Sì è lui, è quello che abbiamo sempre descritto come una mezza rovina del calcio italiano. Tutto dimenticato, tutto perdonato. Si temeva un possibile disastro per la Nazionale, che invece va avanti. E con lei Tavecchio, il palleggiatore canterino. E allora tutti sul carro di chi vince, «anche se non convince».
Con Tavecchio per ora sappiamo cosa vinciamo, ma non sappiamo quello che ci perdiamo!