la Repubblica, 20 giugno 2016
Ibra, Ronaldo & Co: perché le stelle degli Europei non brillano?
Le squadre che traccheggiano all’ombra del fuoriclasse non stanno funzionando, e non perché faccia troppa ombra o forse nemmeno perché sia in ombra lui. È che, piuttosto, questo è (o finora lo è stato) l’Europeo del collettivo, dell’omogeneità, dell’organizzazione, e vale sia per le formazioni operaie (Italia, Islanda: possono stare nella stessa categoria, sì) sia per quelle di lusso, come la Spagna o la Francia. La Germania è una via di mezzo: è efficace il meccanismo di gioco ma i più bravi non stanno aggiungendo valore, e difatti è una via di mezzo, né buono né cattivo, anche il rendimento della Mannschaft. In buona sostanza, benché molte stelle non stiano brillando (Lewandowski, Mueller, Kane, Hazard), questi sono soprattutto i giorni del fallimento dei due “one man band” per antonomasia, Ronaldo e Ibrahimovic, Cristiano e Zlatan, i due meno comuni mortali del torneo, i due più sprezzanti e arroganti anche se spesso lo sono, devono esserlo, per ragioni di marketing. Nel loro solco c’è Pogba, che però è un uomo solo al comando solamente nella sua testa: in realtà è lui che sta annaspando nella scia di una squadra che va, e che non si fa troppi scrupoli nel lasciarlo indietro. Ieri sera era titolare fra le riserve: non il massimo della gratificazione.
Nelle competizioni per nazionali capita spesso che ci sia un giocatore clamorosamente al di sopra del livello calcistico medio del paese, perché il fuoriclasse può nascere ovunque e per caso, tipo Weah in Liberia o Litmanen in Finlandia. E in genere è abbastanza normale che ci siano formazioni che presentino solamente sei o sette calciatori di buon livello mentre per completare la rosa bisogna pescare in periferia, o nelle serie minori: qui, per esempio, è il caso della Slovacchia di Hamsik. Ma mai come questa volta il fenomeno funziona solamente se perfettamente integrato, se ha una squadra attorno o se lui stesso sa farsi squadra come Gareth Bale, l’unica stella solitaria che non dia segni di scollegamento con compagni anche molto più deboli di lui, che magari fanno le riserve nella seconda divisione inglese. Bale s’è calato nella parte con umiltà che alcuni giudicano persino eccessiva, perché ne limiterebbe il potenziale (lavora esageratamente di quantità e ne risente la qualità), ma intanto ha già stampato due gol su punizione e il suo esempio sta contagiando gli altri gallesi, che si sentono affini a quell’extraterrestre e si sforzano di fargli da corona.
Nella Svezia e nel Portogallo non è così, anche se si tratta di situazioni profondamente diverse. Ibra è cambiato negli anni, una volta era sofferente nei confronti di compagni troppi più scarsi di lui (e comunque meno scarsi di quelli di oggi: il calcio svedese è proprio in fase critica), ora è diventato tollerante («So che devo avere pazienza con loro») ma ha piegato l’intero gioco svedese alle sue esigenze, al punto che l’unico schema è tentare di fargli arrivare la palla. In due partite ha funzionato una volta sola, in occasione dell’autogol che è valso il pareggio con l’Irlanda. Per il resto, Ibra l’ha vista poco e in Svezia si domandano se non avesse un senso preparare un piano B. Un quotidiano svedese ha pure pubblicato una foto del terzino Johansson scambiandolo per Zlatan: hanno entrambi lo chignon, ma è abbastanza preoccupante che non si fossero trovati altri dettagli per distinguerli. Il resto del Portogallo non è invece così debole, ma fatica a trovare una connessione con Cristiano che tende a voler fare tutto da sé. Nelle prime due partite ha tirato in porta addirittura 20 volte, ricavandone una rabbocco di frustrazione e il palo centrato sbagliando il rigore. «La prossima volta il gol arriva», ha promesso ieri, così come il ct Santos ha promesso che gli farà tirare i penalty che eventualmente verranno: «E li segnerà». Ma è un dato di fatto che la sua epoca non abbia portato a un’affermazione del calcio portoghese (formidabile a livello di club) né che lui sia riuscito in qualche modo a fare squadra con il Portogallo. Santos gli ha pure dato tutta la libertà possibile (parte centravanti e va dove vuole), mentre con Bento faceva sostanzialmente l’ala, cozzando contro centravanti improbabili tipo Hugo Almeida. Ma non c’è osmosi, il fuoriclasse è rimasto fuori dal gruppo, al di sopra del gruppo: nell’Europeo dei collettivi non è una bella cosa.