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 2016  giugno 20 Lunedì calendario

Quanto costerà Brexit ai cittadini dell’Unione che hanno scelto di vivere, lavorare o studiare a Londra

Secondo l’Ocse, se al referendum di giovedì vincerà la Brexit, a ogni famiglia inglese toccherà pagare un prezzo di 3.200 sterline. Ma l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue potrebbe avere un costo anche per tutti i cittadini dell’Unione che in Gran Bretagna hanno scelto di vivere, lavorare e studiare.
La platea è vasta: sono 3,3 milioni i cittadini comunitari residenti ma non originari del Regno Unito. Di questi oltre 500mila sono italiani. Senza contare gli studenti universitari che scelgono gli atenei di sua Maestà, per lo studio della lingua o per l’impronta internazionale della preparazione offerta: se ne contano circa 400mila stranieri, di cui oltre 125mila provenienti dagli altri 27 Paesi membri.
Chi di loro pagherà il prezzo più alto? In questa Europa che non aiuta i giovani, ancora una volta saranno loro i più esposti. Oggi uno studente italiano – o tedesco, o francese – se sceglie un college del Regno Unito paga la stessa retta di un suo coetaneo inglese, vale a dire al massimo 9mila sterline all’anno. Se sceglie la Scozia, addirittura non paga nulla: tra le Highlands l’università è gratis per tutti gli studenti comunitari. Dovesse vincere la Brexit, però, gli universitari europei rischiano di essere equiparati alle migliaia di studenti internazionali che ogni anno arrivano in Gran Bretagna, dalla Malaysia al Perù. E questo fa lievitare le rette: fino a 36mila euro all’anno, nel caso di medicina. Questi studenti continuerebbero a scegliere l’Inghilterra? Chi nella Ue potrebbe avvantaggiarsene è per esempio l’Irlanda: madrelingua altrettanto inglese, stesso ordinamento di Common law, contiguità geografica e culturale assicurata. 
In caso di Brexit, gli studenti perderanno anche il diritto all’assistenza sanitaria gratuita. Un supporto, questo, che verrebbe a mancare anche al popolo dei lavoratori Ue in Gran Bretagna: soltanto tra il 2014 e il 2015 il sistema sanitario inglese ha ricevuto 49 milioni di sterline dagli altri membri dell’Unione a rimborso per le cure mediche prestate ai cittadini europei fuori sede. 
Spese mediche a parte, chi oggi lavora in Gran Bretagna è piuttosto tutelato perché ha dalla sua lo scudo della Convenzione di Vienna del 1969: chiunque gode di diritti acquisiti nell’ambito di un determinato trattato internazionale continua a goderne anche dopo che il trattato verrà sciolto.
Per chi studia
Sembra impossibile, ma gli studenti universitari stranieri in Gran Bretagna sono tra coloro che hanno più da perdere in caso di Brexit. Chi proviene da uno stato Ue e sceglie un ateneo della Scozia oggi addirittura non paga nulla. Nel resto del Regno Unito, invece, gli studenti comunitari vengono equiparati a quelli inglesi e pagano al massimo 9mila sterline di tasse all’anno. Tutti godono di cure mediche gratuite così come previsto dal Sistema sanitario nazionale britannico. E tutti oggi hanno diritto di ottenere un prestito per studenti per un importo massimo di 9mila sterline all’anno
Il nodo delle tasse
In caso di Brexit, nella peggiore delle ipotesi, gli studenti Ue potrebbero perdere tutto: niente accesso ai prestiti studenteschi, niente assistenza sanitaria, ma soprattutto tasse universitarie uguali a quelle che oggi pagano gli studenti extracomunitari. Che partono da 8mila sterline annue per i corsi base ma che, nel caso di medicina, possono arrivare fino all’astronomica cifra di 36mila sterline all’anno.
Tuttavia, è molto probabile che in caso di Brexit Londra riesca ad andare incontro agli studenti europei, sostiene l’avvocato Martin Pugsley, dello studio legale Delfino Willkie Farr & Gallagher, che ha vissuto a lungo nel nostro Paese e si sta occupando da vicino del tema Brexit: «Il governo inglese potrebbe negoziare con la Ue una nuova fascia di contribuzione per gli studenti europei e anche la mutua reciprocità per l’assistenza sanitaria».
Gli studenti inglesi all’estero
Un accordo nella direzione della reciprocità non conviene solo ai ragazzi europei che vogliono andare a studiare nel Regno Unito. Infatti, oggi il 15% dei docenti universitari britannici proviene da altri Paesi Ue, così come 200mila giovani inglesi si trovano all’estero per ragioni di studio: Londra dovrà trovare una via per regolarizzare anche la posizione di tutte queste persone.

Per chi lavora
Per chi oggi già vive e lavora a Londra in maniera stabile la Brexit non costituirebbe un evento drammatico. I diritti di cui queste persone godono da anni infatti contano come “diritti acquisiti individuali” ai sensi della Convenzione di Vienna del 1969, in cui si afferma che la cessazione di un trattato non pregiudica alcun diritto, obbligo o situazione giuridica delle parti, ottenuto attraverso l’esecuzione del trattato prima della sua estinzione.
«Insomma - spiega l’avvocato inglese Martin Pugsley, dello studio legale Delfino Willkie Farr & Gallagher - anche se il Regno Unito si ritirasse dalla Ue, ciò significherebbe liberare il Regno Unito e l’Unione Europea da eventuali future obbligazioni reciproche, ma non pregiudicherebbe i diritti e gli obblighi precedenti alla Brexit».
Chi è in procinto di trasferirsi 
Più problematico è invece il caso di chi sta pianificando il proprio trasferimento nel Regno Unito ma è solo a metà del guado delle pratiche, oppure non ha iniziato affatto. Nel peggiore degli scenari possibili - quello cioè di un divorzio burrascoso e niente affatto consensuale tra Londra e Bruxelles - chi ancora non si trova dietro una scrivania della City, per ottenere un impiego nel Regno Unito potrebbe addirittura aver bisogno di un visto di lavoro. Non solo: anche il diritto al riconoscimento automatico delle qualifiche professionali verrebbe meno. 
Il principio di reciprocità 
A oggi si contano circa 3 milioni di cittadini europei che vivono e lavorano nel Regno Unito. Al contrario, sono 1,8 milioni i cittadini inglesi che in questo momento vivono e lavorano nell’Unione europea: per il principio di reciprocità, in caso di Brexit queste persone potrebbero incappare negli stessi inconvenienti.

Per chi viaggia

Chi ha già prenotato il volo aereo per Londra o il tour delle Highlands scozzesi per questa estate, può stare tranquillo: se anche giovedì dovesse vincere la Brexit, per le vacanze non cambierebbe assolutamente nulla, assicura Martin Pugsley, avvocato dello studio legale Delfino Willkie Farr & Gallagher. E tranquilli potranno stare anche coloro che in ferie nel Regno Unito pensano di andarci l’anno prossimo. 
Dal 2018 in poi, però, qualcosa potrebbe non essere più come prima. Poco, per la verità. «Supponiamo - prova a immaginare l’avvocato inglese - che il Regno Unito rilasci il preavviso d’uscita sotto l’articolo 50 del Trattato di Lisbona subito dopo il referendum del 24 giugno 2016: il Regno Unito dovrebbe uscire dall’Ue il 24 giugno 2018. Se fosse confermato questo scenario, ci troveremmo in una situazione in cui la libera circolazione dei cittadini all’interno della Ue sarebbe conclusa».
L’ipotesi dei visti 
Sarà dunque necessario chiedere il visto per andare a fare shopping a Londra? L’ipotesi sembra piuttosto improbabile: «Non è concepibile - spiega Pugsley - che il Regno Unito imponga restrizioni di visti turistici per i cittadini dell’Unione europea. Sembra invece verosimile che la situazione attuale sia destinata a permanere. A meno che qualsiasi altro Paese Ue non imponga restrizioni sui visti turistici per i cittadini del Regno Unito, nel qual caso si aprirebbe un argomento per la reciprocità». 
I controlli alle frontiere 
Eventuali controlli alle frontiere potrebbero invece portare al massimo a una nuova corsia solo per i cittadini britannici: con il risultato che gli italiani in vacanza vedrebbero allungarsi la propria coda in fila per il controllo dei passaporti. «Ma poco altro dovrebbe cambiare per i viaggi», si sente di assicurare Pugsley. Dal turismo ogni anno il Regno Unito trae un guadagno di 127 miliardi di sterline, pari al 9% del Pil: è improbabile che il governo britannico voglia intraprendere azioni che possano avere un impatto negativo su una fetta così importante dell’economia.