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 2016  giugno 20 Lunedì calendario

L’ascesa del M5s preoccupa i mercati

«I mercati riescono a seguire due grandi eventi politici alla volta. Ora è il momento di Brexit e della Spagna. Poi si sposteranno su Italia e Usa». L’impatto di Leave o Remain si comincerà a vedere già in Spagna, che torna alle urne il 26 giugno. Poi durante l’estate inizieranno a montare altri due appuntamenti politici, il referendum di ottobre sulla riforma costituzionale in Italia e le elezioni presidenziali americane. Alla luce dei risultati dei ballottaggi per l’elezione del sindaco nelle grandi città, il referendum italiano da ieri si è conquistato una posizione di primo piano sui mercati, sempre vigili sul rischio del ritorno dell’instabilità politica in Italia. 
La vittoria del M5S a Roma e anche a Torino costringe i mercati, che davano lo scenario politico italiano stabile fino al febbraio 2018, a valutare un nuovo rischio di instabilità con ripercussioni dannose sulle prospettive di crescita. I mercati inizieranno a domandarsi: 1) se la vittoria di Matteo Renzi sul referendum di ottobre è ora meno scontata; 2) in caso di voto contrario alla riforma costituzionale, se Renzi si dimetterà; 3) se c’è un piano “B” già pronto nel caso di uscita di scena di Renzi; 4) con quale legge elettorale l’Italia tornerà alle urne; quando saranno le prossime elezioni, s enel 2017 o nel 2018; quale è il programma di Governo del M5S e se questo partito di protesta è anti-europeista al punto da indire un referendum stile Brexit.
Su tutto, da Brexit alla Spagna, dall’Italia agli Usa, il comune denominatore sarà la crescita. Il peso negativo sui mercati dell’instabilità politica aumenta infatti quando viene abbinato all’incertezza sull’andamento dell’economia: il caso più eclatante è proprio quello dell’Italia, che ha una crescita fragile e non può permettersi l’instabilità politica che rallenta il cammino delle riforme strutturali. In Uk, Usa, Spagna uno shock politico può essere attutito da un Pil in buono stato di salute: per l’ Italia, i mercati potrebbero far pagare a caro prezzo – in termini di spread – il ritorno a una situazione politica instabile.
Dai cambi alle azioni, dalle obbligazioni ai derivati, gli operatori finanziari di tutto il mondo si stanno concentrano però in queste ore prima di tutto sul verdetto dell’elettorato britannico sulla permanenza o uscita del Regno Unito dalla Ue. Consapevoli che, in qualunque direzione vada il voto, la portata storica di questo referendum lascerà un segno indelebile sul futuro del progetto di Unione europea ed euro e avrà un impatto nel bene o nel male sulla crescita mondiale. C’è tanta Europa quanta Gran Bretagna nel referendum inglese, e quindi c’è dentro anche l’Italia, il Terzo Pil dell’Eurozona ancora vulnerabile agli shock esterni per colpa del problema irrisolto dell’alto debito pubblico e della bassa crescita potenziale.
Il mercato italiano dei titoli di Stato e bond resta comunque sorretto e protetto dagli acquisti del QE della Bce che per l’Italia ammontano a una media mensile attorno ai 9 miliardi. Da giugno a dicembre, gli acquisti della Bce di titoli di Stato italiani con vita residua tra 2 e 30 anni (compresi gli indicizzati all’inflazione e i CcT ma esclusi i CTz e i BoT) dovrebbero portare le emissioni nette negative del Tesoro (al netto del QE e anche dei titoli di Stato da rimborsare in scadenza) a quota 73 miliardi. Una situazione eccezionale per il Tesoro e senza precedenti.
L’Italia tra l’altro si trova già al 56% della raccolta complessiva per il 2016, che dovrebbe aggirarsi attorno ai 380 miliardi (una trentina di miliardi in meno rispetto al programma di raccolta di emissione lorde del 2015), provvidenzialmente al di sotto della maxi-soglia tutta italiana dei 400 miliardi l’anno di rifinanziamento del debito pubblico in scadenza annualmente (BoT compresi). Le aste italiane saranno “leggere” nel secondo semestre dell’anno, con titoli a medio-lungo termine in arrivo secondo i trader per 120 miliardi circa contro una valanga di titoli in scadenza (95 miliardi di BTp, 36,8 miliardi di BTp Italia, 21,3 miliardi di CcT e 9,6 miliardi di BTp indicizzati all’inflazione europea). Il costo medio alla raccolta finora quest’anno si conferma a livelli minimi record: era lo 0,63% al 31 maggio. 
Il risparmio sulla spesa per interessi è un elemento positivo per i conti pubblici italiani, ma per i mercati è temporaneo: il rendimento dei BTp è destinato a salire, anche se forse solo temporaneamente, nel caso di uscita della Gran Bretagna dalla Ue. Ma salirà di più quando i mercati inizeranno a mettere assieme il risultato delle elezioni amministrative, con un Matteo Renzi e un PD deboli e un M5S forte, e il referendum di ottobre che ha la potenzialità di aprire una crisi di Governo: il rischio di elezioni anticipate (non più nel 2018 ma nel 2017) oppure di una prolungata fase di instabilità politica in Italia è la prospettiva peggiore per i mercati, che finora hanno puntato sulla stabilità del Governo Renzi per vedere realizzate le riforme strutturali per la crescita. 
A fare da sfondo alle elezioni amministrative in Italia, resta l’incertezza numero uno dei mercati, l’incognita sulla solidità della crescita negli Usa, che resta la principale preoccupazione. L’ultimo dato molto deludente sulla creazione di nuovi posti di lavoro si è aggiunto a quello già nero sui profitti delle imprese Usa, che sono molto bassi e che quindi mantengono un freno sulle prospettive di un aumento degli investimenti, motore per generare nuovi posti di lavoro. Anche le aspettative sull’inflazione americana non convincono i mercati. 
Quel che rischia di esasperare il ritorno all’instabilità politica in Italia è dunque l’incertezza del quadro economico negli Usa. 
La Federal Reserve stessa ha dovuto correggere ripetutamente le aspettative su crescita e inflazione, di volta in volta troppo ottimistiche: per la crescita reale del Pil i forecasts della Fed sono risultati sovrastimati nel novembre 2011, settembre 2012, settembre 2013, settembre 2014, settembre 2015 e resta da vedere se saranno confermate quelle più moderate del marzo 2016. Lo stesso è accaduto per l’inflazione: le previsioni della Fed sono risultate non allineate all’andamento dell’inflazione core nel novembre 2011, settembre 2012, settembre 2013, settembre 2014: i mercati ora sono scettici sulle stime ufficiali 2016-2018 con un’inflazione proiettata al 2%.