Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2016
Un salvagente da 400 milioni per i nuovi sindaci. Oggi dovrebbe arrivare il decreto salvacittà
Aprire il proprio mandato con un bel decreto del governo scritto per salvare i conti dell’ente che si sta iniziando a guidare non è un brutto esordio. A viverlo saranno Virginia Raggi a Roma, Beppe Sala a Milano, Chiara Appendino a Torino e Virginio Merola a Bologna, che nel decreto enti locali atteso oggi in consiglio dei ministri si vedranno cancellare tagli per quasi 400 milioni di euro: a Roma il salvagente è da 101 milioni, a Napoli ne vale 71 e a Torino qualche spicciolo meno di 70, invece a Milano si ferma poco sotto i 42 milioni.
I bilanci salvati dal dissesto, e i mandati salvati dal commissariamento, non sono quelli del Comune, ma della Città metropolitana, che i vincitori delle urne di ieri hanno agguantato insieme alla poltrona di sindaco anche se in campagna elettorale non ne hanno parlato più di tanto. Tanto per dare un’idea del peso della questione, i tagli bloccati valgono quasi il 40% delle entrate tributarie scritte nei bilanci (esangui) degli enti interessati.
Il decreto è in cottura da settimane, era arrivato sulla soglia di Palazzo Chigi già mercoledì scorso senza rientrare alla fine nell’ordine del giorno perché c’era da completare qualche copertura, e quindi non è influenzato dagli esiti di una lotta elettorale che fino a poche ore fa erano imprevedibili. Il salvagente, che ferma le forbici anche sui conti delle Province dove avrebbero dovuto potare altri 600 milioni abbondanti, serve nei fatti a evitare una catena di dissesti fra gli “enti di area vasta”, tamponando buchi aperti dalle leggi nazionali e non dalle scelte amministrative locali.
Tutto nasce dal calendario asimmetrico che ha guidato fin qui la riforma delle Province. La macchina dei tagli miliardari è partita ormai da due anni sulla base dell’alleggerimento delle funzioni provinciali scritto nella legge Delrio, ma il personale, cioè il cuore dei costi, ha cominciato a spostarsi molto più tardi: i termini per trovare un nuovo ufficio agli esuberi che non hanno traslocato insieme alle funzioni sono scaduti l’altroieri, e l’entrata in servizio nel nuovo ente dovrà avvenire entro metà luglio: 26 mesi dopo il varo della legge Delrio.
Con le entrate tagliate a ritmi molto più decisi rispetto alle uscite, Città metropolitane e Province hanno violato in massa i vincoli di finanza pubblica (i conti sono deragliati in 76 enti su 86 dei territori a Statuto ordinario, invece dei 33 del 2014) e ora dovrebbero versare allo Stato 916 milioni di sanzioni. Non succederà proprio grazie al decreto enti locali.
Anche nella loro veste di sindaci “tradizionali” e non metropolitani, in realtà, i politici vecchi e nuovi premiati dalle urne di ieri attenderebbero dal governo novità importanti, che però difficilmente arriveranno dal testo che sarà approvato dal consiglio dei ministri. I Comuni sede di tribunale, prima di tutto, vantano un credito da quasi 700 milioni per gli arretrati delle spese di funzionamento dei palazzi di giustizia anticipate dai Comuni ma ancora non rimborsate dallo Stato. Nelle scorse settimane il ministero della Giustizia ha messo in cantiere un mini-rimborso per tamponare la falla, ma i sindaci chiedono da tempo una soluzione strutturale e il confronto con il governo è stato avviato su un’ipotesi di dilazione, che a rate annuali da 30 milioni impiegherebbe 20 anni a chiudere la questione ma almeno offrirebbe qualche certezza ai conti locali.
I sindaci che in questi giorni si siederanno sulle loro nuove poltrone, poi, inciamperanno presto in un paradosso che blocca la gestione del personale. La causa è in una regola scritta in una Finanziaria di dieci anni fa (il comma 557 della legge 296/2006) e “riesumata” a inizio maggio dalla Corte dei conti, che nella delibera 16/2016 della sezione Autonomie l’ha ancora considerata in vigore: la norma blocca qualsiasi assunzione negli enti che non hanno ridotto l’incidenza della spesa di personale sul totale delle spese correnti, tagliando le gambe proprio a chi ha ridotto di più le uscite totali. Di tutto questo, però, si discuterà in Parlamento, durante i lavori sulla conversione del nuovo decreto.