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 2016  giugno 20 Lunedì calendario

Bologna si tiene Virginio Merola

Quindici giorni di tensione per il sindaco uscente Virginio Merola, Pd, si sciolgono tre minuti dopo le undici di sera, quando il primo exit poll della Rai gli fa sapere che la sua ipotesi minima, 54%, è otto punti sopra la massima della sfidante, la leghista Lucia Borgonzoni. Mezz’ora dopo la prima proiezione conferma proprio quella ipotesi minima (54,6), e infine i voti veri anche.
Nel brusco cambio di vento sulle grandi città italiane, la bandierina sul campanile dell’antica capitale rossa questa volta resta orientata verso sinistra. Respiri profondi e sollievo per chi aveva temuto un effetto tutti-contro- il-sindaco, e soprattutto per chi aveva raccomandato a Merola, nei tempi supplementari della campagna elettorale, una strategia aggressiva, dove l’aurea regola del queta non movere, cioè del tenersi innanzitutto i voti già presi, era stata messa un po’ a repentaglio da una serie di fughe in avanti, alcune ad effetto come il taglio netto dell’Irpef comunale, altre correzioni di rotta invece sorprendenti, soprattutto sul traffico e le pedonalizzazioni, oltre ad autentici azzardi come la promessa di smembrare i campi rom (contropiede antileghista) ma per spalmarli in tutta la città, inclusa la ricca zona dei colli.
È notte quanto, a metà scrutinio ma passata la boa di non ritorno, le urne esorcizzano il fantasma del ’99, la clamorosa “presa di Bologna” da parte del centro- destra guidato però allora dal moderato Giorgio Guazzaloca. La decisione di prospettare questa volta una partita “epocale”, la «scelta di campo» invocata dal Pd, «non lasciamo la città ai razzisti», quasi un Merola-o-barbarie, ha fatto effetto. Bologna non si è gettata nelle braccia di un sindaco leghista. A poco è servita l’eclisse di Matteo Salvini, che nei tempi regolamentari della campagna elettorale era stato una presenza insistente e quasi ossessiva in città, ma che nelle due settimane del recupero si è tenuto distante e ha abbassato i toni almeno sullo scenario bolognese.
Lucia Borgonzoni porta dunque la Lega al suo massimo successo storico in queste terre, ma per vincere avrebbe forse dovuto dissociare di più la sua immagine sorridente da quella del suo partito. E alla fine, nel tormento di interminabili discussioni online, anche parte della sinistra alternativa al Pd, mano sulla coscienza e turandosi il naso, ha scelto il voto-argine. Le analisi dei flussi diranno invece cosa è stato del voto moderato (oltre il 10%) del centrista Manes Bernardini, che aveva (forse per farselo negare) proposto l’apparentamento con la destra.
In mattinata, Merola aveva lanciato un appello via social per l’affluenza alle urne, «Buongiorno, oggi si vota! Mi raccomando, andate a votare!», ma sapendo che la vera preoccupazione sarebbe venuta piuttosto da una massiccia corsa ai seggi, che non solo sarebbe suonata indizio di un arrembaggio elettorale dell’inseguitrice, ma avrebbe alzato l’asticella del quorum a parecchie migliaia di voti da conquistare oltre quelli già incassati al primo turno; di sicuro parecchi di più dei duemila voti dei Verdi, unico apparentamento ufficiale della coalizione del sindaco uscente. Per questo, il calo relativo dei votanti, ventimila, quasi il 7%, ma meno della metà quello di cinque anni fa quando il salto all’ingiù fu del 15 per cento, era stato preso come un segnale se non confortante, almeno non allarmante. All’una di notte il comitato elettorale attende l’esultanza di Merola, primo sindaco bolognese riconfermato in carica da quando esiste il sistema dei ballottaggi.