20 giugno 2016
Il trionfo dei Cinque Stelle
Ilario Lombardo per La Stampa
Nulla avviene a caso nel M5S. Se il sito di Beppe Grillo apre con un sobrio post in cui si gioisce per la vittoria di Torino e Roma, ed è firmato «di Movimento 5 Stelle», qualcosa vuol dire. Se fuori dal quartier generale di Roma il boato della folla invoca il «presidente» Luigi Di Maio, significa che non era solo un voto amministrativo. I Cinquestelle hanno vinto 19 ballottaggi su 20. Lo hanno fatto con il lutto al braccio per Casaleggio e Beppe Grillo, tornato su un palco a far ridere senza chiedere in cambio voti. Il popolo pentastellato, che si gode la diretta del grande evento su un foglio di asfalto che accoglie gioia e rabbia, bandiere dell’Italia, impensabili vessilli borbonici e una strano tipo vestito da moschettiere, guarda lo spettacolo di Roma espugnata senza il suo capocomico. Grillo aspetta, di lato. Come aveva promesso. Non ruba la scena ai suoi ragazzi nella notte del successo. «È vostra, questa vittoria è vostra. Tocca a voi» dice al cellulare, in vivavoce. Grillo attende all’hotel Forum, dove è rimasto anche per problemi di sicurezza, attaccato al telefono e davanti alla tv. Ma oggi rientrerà in scena alla grande festa organizzata per celebrare «la prima tappa per la presa della Bastiglia». Roma è l’anticamera di Palazzo Chigi agli occhi dei parlamentari. C’è Di Maio, il più ricercato dalle telecamere, che parla da leader in pectore e lancia la sfida a Matteo Renzi: «I cittadini ci hanno riconosciuto la capacità di governare. Ora siamo pronti per l’Italia». C’è Di Battista che pesca applausi con la faccia di chi non si fa consumare dai riflettori. C’è Carla Ruocco, con gli occhi brillanti che racconta di un Grillo rilassato: «Ci ha detto che ce l’avremmo fatta. Fino alla fine era sicuro e ci rassicurava. Roma e Torino: abbiamo fatto la storia». L’incredulità per la vittoria di Chiara Appendino le si legge in faccia, mentre rivolge lei domande alla folla «Ve lo aspettavate? Dite la verità…». Anche Grillo, raccontano, è quasi più entusiasta per Torino che per Roma, memore di quella frase che Fassino gli rivolse anni fa: «Mi aveva detto che se volevo fare politica dovevo fondare un partito. Eccolo servito…» Roma, invece, è l’inizio di una nuova era per i ragazzi di Grillo. “Ora tocca noi” ripetono. Ma può essere anche la fine. Lo sanno bene. «Non siamo nati ieri, sappiamo cosa ci aspetta». Dovranno fare i conti con quell’«impasto criminale» che nell’enfasi del loro racconto è questa città ridotta a macerie. Vestito da saggio, Grillo è il primo a incoraggiarli, a suo modo: «Lo diceva anche Gianroberto: Roma è il trampolino per il governo. Se falliamo siamo fottuti». Un pensiero a Gianroberto Casaleggio lo dedicano tutti. La costruzione, minuziosa e serrata, di questa vittoria, è iniziata molti mesi fa, quando il guru fondatore era ancora in vita. Le amministrative sono sempre stato una grana per i pentastellati, organizzati come una testuggine quando c’è da gridare contro la casta del Palazzo, impalpabili agli occhi degli italiani quando i problemi da risolvere sono buche e immondizia. Roma è quasi tre milioni di abitanti, un ventesimo dell’Italia intera. È un piccolo Stato dove allenarsi per conquistare il governo, con la convinzione però di avere in tasca una nuova patente di credibilità. Virginia Raggi non sarà sola però. La Casaleggio guidata dal figlio di Gianroberto, Davide, blinderà ogni singola decisione, e fornirà una strategia mediatica perfetta quando dovrà raccontarsi il conflitto tra Palazzo Chigi e i nuovi inquilini del Campidoglio. Anche un eventuale fallimento, come la vittoria, avrà bisogno della sua narrazione.
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Filippo Ceccarelli per la Repubblica
Forse Virginia Raggi non lo sa, ma quando ha chiuso la campagna elettorale a piazza del Popolo, proprio dietro al palco, come a guardarle le spalle, c’era l’enorme statua della Dea Roma, e ai suoi piedi la lupa, con tanto di gemelli.
L’enorme gruppo scultoreo progettato dal Valadier è anche conosciuto – e si lo ricorda con qualche ritegno dopo i risultati elettorali – come “Roma trionfante”. Più che il trionfo della nuova sindaca a cinque stelle, è la novità politica a sottolineare la natura certamente femminile dell’antica divinità, le cui marmoree raffigurazioni nell’Urbe sono generalmente abbinate a fontane.
Dopo quella di piazza del Popolo, Raggi troverà un’altra e più significativa Dea Roma al Campidoglio. Questa, in marmo ed alabastro, è situata in una nicchia proprio sotto la scalinata del Palazzo Senatorio su cui salirà solennemente il giorno della proclamazione.
A Torino, ex capitale della grande industria e del comunismo italiano, la vincitrice sempre a cinque stelle Chiara Appendino non dispone ovviamente di risorse mitologiche di tale impronta e risonanza femminile. Ma una volta che in consiglio comunale risultò nelle sue accuse particolarmente persistente, per non dire provocatoria nei riguardi del sindaco Fassino, ecco, fu questi, che fra le tante sue virtù non si può dire che possieda la pazienza, ad assegnarle a suo modo l’aureola e la spada: «Non abbiamo bisogno di una Giovanna d’Arco della pubblica moralità».
Ora, non si è mai troppo sorvegliati e prudenti nell’affrontare il tema e il ruolo delle donne nella politica e nel potere – e già rischiosa può risultare l’evocazione di una santa guerriera e di un’antichissima dea raffigurata con elmo, lancia, sfera e timone (quest’ultimo peraltro rubatole di mano a piazza del Popolo una notte del 2013).
Ma anche senza forzature e svolazzi la prova delle urne dice abbastanza nettamente che due donne hanno “asfaltato” – quanto di più indegnamente maschile il lessico politico ha prodotto negli ultimi anni – le già tenui e residue speranze del Pd e del renzismo.
Ci sarà il tempo per capire meglio il fondamento, i contorni e gli sviluppi di questi due successi. Ma intanto si può azzardare che Appendino e Raggi, forse proprio perché donne, hanno in qualche consistente misura attenuato la carica sovversiva e settaria del grillismo.
Niente spettacoli urlati sui palchi, niente isterie carismatiche, niente fantasticherie utopistiche. Anche nel M5S il passaggio di genere, il prevalere quasi naturale, senza tanti strombazzamenti, di candidate donne ha creato prima le condizioni per una campagna elettorale tranquilla, per certi aspetti anche moderata, e poi lo slancio per la vittoria.
Nessuna città, nessun consiglio comunale da aprire “come scatole di tonno”. Competenza, concretezza, magari in forma di promessa, approccio politico rasoterra, addio distinzioni tra destra e sinistra, distacco dal vecchio sistema dei partiti ormai vissuti come bande, e appena un filo di fantasia.
Così una moltitudine di elettori già inquieti si sono sentiti in parte rassicurati: a Roma dalla fotogenica avvocata – in realtà assimilabile alla figura della “maestrina” – venuta su nei gruppi di acquisto solidale; mentre a Torino hanno scelto la manager bocconiana che come slogan portava «L’alternativa è Chiara», e nel suo curriculum poteva vantare uno stage nella Juventus, da cui una tesi specialistica: «La gestione dei conti di una società di calcio: la valutazione del parco giocatori».
Colpisce il profilo parallelo delle due vincitrici: 37 anni Raggi, 31 Appendino, tutte e due mamme di bambini piccoli. Vita “normale”, per quanto di inesplorato l’aggettivo possa recare in dote; un aspetto certo gradevole e spendibile sul piano delle rappresentazioni mediatiche; e tuttavia, o meglio, o comunque, entrambi segnate da una forte connotazione di novità anti- establishment.
E qui, dinanzi a queste due figure, è anche irresistibile riflettere su quanto il renzismo ha finora investito sul più netto ricambio anagrafico (la rottamazione), sul più evidente riequilibrio di genere (le ministre importanti, le capolista, le presidentesse negli enti), cioè sulle donne, e infine sulla carica di estraneità alla vecchia e consumata nomenklatura partitica.
Ed ecco che la bandiera, i simboli e gli sforzi di Renzi se li sono presi i suoi avversari. Ennesima variabile elettorale di apprendista stregone.
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Dino Martirano per il Corriere della Sera
Con il calo inesorabile dell’affluenza (scesa al 50,5%) ormai lo scenario è all’«americana»: al ballottaggio, la poltrona di sindaco si vince anche con la metà della metà degli aventi diritto al voto.
A Roma, l’avvocata grillina Virginia Raggi, raccogliendo poco più di un voto su due sul totale di quelli espressi, ha travolto il Pd umiliando l’avversario Roberto Giachetti.
A Torino, l’ex bocconiana Chiara Appendino (M5S) ha compiuto un’incredibile rimonta mandando a casa il sindaco uscente Piero Fassino (Pd). Una doppietta micidiale per il partito guidato personalmente dal premier Matteo Renzi. Un vero terremoto per il vertice del Nazareno se, a Milano, il super candidato renziano Giuseppe Sala non avesse confermato e consolidato il suo vantaggio sul competitor del centrodestra, Stefano Parisi.
A Roma — dove il richiamo alle urne per i grillini è stato comunque altissimo, mentre molti sostenitori di Roberto Giachetti (Pd) svogliati e delusi sono rimasti a casa — Virginia Raggi (M5S) ha stravinto con trenta punti di distacco e 350 mila voti di scarto (erano 130 mila al primo turno) sul candidato del Pd, che ora torna al suo scranno di vicepresidente della Camera.
Ancora più clamoroso, il risultato di Torino dove i consensi per Chiara Appendino (M5S) sono «decollati» rispetto al primo turno (10 punti di svantaggio) fino a raggiungere e a superare con un discreto margine il sindaco uscente Piero Fassino (Pd). A Milano, il conteggio delle schede è risultato più complesso che altrove per quello che sembrava un testa a testa. Poi il vantaggio confermato da Giuseppe Sala (Pd) su Stefano Parisi (centro destra) ha permesso al segretario del Pd, Renzi, almeno di vincere la sfida con il centrodestra dopo la sconfitta nel doppio derby con i grillini.
A Napoli, stravince il sindaco uscente Luigi de Magistris su Gianni Lettieri (centrodestra) mentre a Bologna il sindaco uscente Virginio Merola batte la leghista Lucia Borgonzoni. Il centrodestra, però, si prende la rivincita a Trieste, Grosseto, Savona, Pordenone, Isernia, Brindisi e Novara. A Benevento il vecchio leone Clemente Mastella (centrodestra) si è giocato la partita della vita per la poltrona di sindaco e l’ha vinta, sfondando pure il tetto del 60%. La destra perde Latina dove vince una lista civica.
Il Pd tiene a Ravenna e a Caserta. Conquista Varese e pur perdendo Napoli (dove non arriva al ballottaggio) ottiene un buon risultato in Campania conquistando Marcianise, Poggiomarino, Sessa Aurunca, Frattamaggiore, Castellammare di Stabia, Casoria.
Nel cuore della Toscana renziana il Pd perde a Sesto Fiorentino, dove vince Sinistra Italiana, e a San Sepolcro. I Cinquestelle vincono in 19 ballottaggi su 20 in cui si sono presentati: oltre a Roma e a Torino, arrivano primi a Carbonia, Genzano e Nettuno (Roma) e a Chioggia.
Alla fine, nei 126 Comuni dove si è votato per il ballottaggio sono andati alle urne più o meno 4 milioni di elettori (su 8 milioni di aventi diritto). A Napoli, sono state registrate le punte più alte di disaffezione al voto (35,98%).
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Ilario Lombardo per La Stampa
La Bbc la butta sulla specificità di genere. «Il primo sindaco donna di Roma». Poi una striminzita descrizione del populist movement che ha conquistato la capitale d’Italia. Il M5S è ancora un oggetto sconosciuto per l’Europa e il mondo. Gli stranieri lo guardano con un misto di curiosità e scetticismo, lo scrutano per capire di più anche la politica e il carattere degli italiani. «In Francia non sarebbe possibile un’affermazione così ampia del M5S» spiega Mathilde Imberthy, corrispondente da Roma di Radio France mentre sgrana gli occhi di fronte al risultato stupefacente anche di Chiara Appendino a Torino. «Ci hanno provato gli ecologisti ma non sono andati molto lontano. In Francia non fai politica se non sei cresciuto nella politica». Il punto di osservazione della stampa straniera riunita al quartier generale romano dei Cinquestelle è interessante per capire come viene percepito il Movimento fondato da Beppe Grillo in una fase di affermazione generale dei partiti populisti in Europa, con cui ha qualche somiglianza ma anche molte differenze: «Ma per populista intendiamo che non c’entra nulla con i partiti, che è nato dal basso, tra i cittadini. Spesso sento paragoni inesatti. Il M5S non ha niente a che fare con il Front National, né con Podemos in Spagna». I francesi, racconta Imberthy, «non riescono a capire bene cos’è il M5S. Non è né di destra, né di sinistra». E allora i corrispondenti provano a spiegarlo come possono. «A volte mi chiedono chi sia l’elettore tipo. E io dico che non c’è: che può essere un avvocato come un disoccupato».
Ad assistere al trionfo romano dei pentastellati assieme a svizzeri e francesi c’è una troupe russa, quella tedesca della tv Ard, un producer italiano che lavora per i turchi e i giapponesi. La storia della prima sindaco donna di Roma, però, conta più per gli italiani che per gli stranieri, già ampiamente abituati a vedere gli uomini scavalcati in grandi città come Parigi e Madrid. Incuriosisce di più una città così importante come Roma ridotta alla disperazione. «Ma c’è anche una richiesta di trasparenza sui vertici del M5S» dice Philipp Zahn del network radiotelevisivo della Svizzera tedesca Srf. Zahn spiega come il problema della scarsità di informazioni riguardo alla Casaleggio Associati sia molto più sentito all’estero, e non solo tra i giornalisti e gli analisti: «Che cos’è questo Staff di Milano, di cui si parla? – chiede -. Dovrebbero dire chi ne fa parte e che ruolo ha. Se, poi, i vertici non sono eletti, come fanno gli elettori a sfiduciarli?».