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 2016  giugno 17 Venerdì calendario

Ancora su D’Alema e Renzi

Certo che, per essere un rottamato, questo D’Alema gode proprio di ottima salute. Da due giorni il giornale più renziano d’Italia, cioè Repubblica, si dedica con passione alle sue battute che, nonostante le sue smentite, gli somigliano troppo per non essere vere. Tutti sanno che Max ce l’ha con Renzi, che l’ha usato come punching ball per propagandare la rottamazione che alla fine ha rottamato solo Max, riciclando tutte le altre vecchie muffe del partito in cambio di una semplice genuflessione: tutti i veltroniani, i rutelliani, i fioroniani e pure i dalemiani continuano a imperversare nel “nuovo” partito, tranne quei due o tre che hanno rifiutato i riti umilianti dell’autodafé e del bacio della pantofola. Ma se a terrorizzare il “nuovo” partito basta non una dichiarazione ufficiale, ma soltanto un paio di frecciatine lasciate cadere qua e là dal rottamato, vuol dire che i rottamatori hanno miseramente fallito. Cioè che il quarantenne che mandava in pensione i vecchi è già così invecchiato che persino D’Alema (D’Alema!), al confronto, sembra un giovanotto che affascina le folle con i suoi ragionamenti politici.
Altrimenti non si spiega il dolente stracciarsi le vesti degli ex dalemiani folgorati sulla via di Pontassieve, da Ridolino a Staino a Orfini, che lacrimano come viti tagliate perché Max non ha voltato gabbana con loro, e lo implorano di lavare subito l’onta con un pubblico atto di contrizione e con una prova d’amore a Giachetti. Né si comprende perché per due giorni il sito di Repubblica riportasse i sarcasmi di D’Alema come la notizia più importante del mondo, prima della strage di Orlando, della Brexit e della presunta stretta sui furbetti del cartellino.
Antonio Padellaro ricorda i motivi per cui Renzi si è inimicato quasi tutta la sinistra italiana. In effetti il premier-segretario e i suoi fedeli dovrebbero mettersi d’accordo con se stessi. Se per loro D’Alema è Belzebù, non dovrebbero meravigliarsi se pensa di votare anche il collega Lucifero (la mite Virginia Raggi) pur di mandarli a casa. Se invece lo considerano un leader che mobilita le masse, non si vede perché l’abbiano emarginato e Giachetti ripeta che preferisce averlo contro che a favore. Se, infine, lo considerano un traditore, dovrebbero spiegare perché tra i renziani ci siano molti dei 101 che tre anni fa impallinarono Prodi sulla via del Colle. La verità è che D’Alema è il leader più simile a Renzi. Entrambi han fatto patti con B. Entrambi hanno teorizzato che la sinistra per governare deve copiare da B.
Entrambi han tentato di scassinare la Costituzione (anche se, va detto, la Bicamerale non poteva vantare padri costituenti del calibro di Boschi & Verdini). Entrambi hanno ridotto il partito a comitato elettorale di se stessi. Entrambi si son portati appresso Ridolino e Velardi. Ma con una differenza: neppure Max aveva spaccato l’Italia in due come sta facendo Matteo, impresa che era riuscita solo al Caimano. L’“o con me o contro di me” riduce tutto a un Sì o un No sulla sua augusta persona. Questa è la torsione che il premier ha impresso al referendum costituzionale di ottobre, il Referenzum, e di riflesso anche ai ballottaggi di domenica. Del resto anche l’Italicum, col ballottaggio fra i due partiti più votati e il premio di maggioranza al primo, trasforma anche le elezioni politiche in un grande referendum pro o contro Renzi. E nei referendum, come nei ballottaggi, non esistono sfumature: o Sì o No, o Lui o gli Altri. E allora di che si lamentano, Renzi&C.? Se le elezioni comunali – come dice il premier, mentendo anche a se stesso – sono “un fatto locale” solo per scegliere “il sindaco migliore”, non c’è disciplina di partito: se D’Alema ritiene che la Raggi sia meglio o meno peggio di Giachetti, è liberissimo di votarla. E pure di dirlo. E se poi tutto è un referendum in vista dell’Armageddon di ottobre, le appartenenze di partito non contano più nulla.
Chi vuole Renzi premier assoluto, re Sole o imperatore, vota Renzi; e tutti gli altri contro. Con la seccante complicazione che, diversamente dalla guerra fredda comunisti-anticomunisti e da quella tiepida berlusconiani-antiberlusconiani, ora l’Italia è tripolare: quindi, nel Referenzum, “tutti gli altri” valgono doppio (5Stelle e destra), mentre Matteo è single. Per questo, a Milano, Dario Fo – e non solo lui – è tentato da Parisi, contro un Sala che è l’uomo di Renzi, e per giunta è un po’ più a destra del candidato di destra e nasconde i dati di Expo. A Roma icone della sinistra come la Ferilli votano Raggi insieme a molti transfughi della Meloni. E a Torino la destra si spacca tra Ghigo e Vietti (pro Fassino) e i leghisti (pro Appendino). Non si tratta di alleanze innaturali, anzi non si tratta proprio di alleanze: ma di scelte spontanee fra il Sì e il No a Renzi, o chi per esso. Nei ballottaggi e nei referendum, se non trovi nessuno vicino a te, voti il meno lontano. Se non trovi il meglio, ti turi il naso e voti il meno peggio. Esattamente quel che accadeva negli anni 70 tra Dc e Pci, e ai tempi di B., quando il Caimano imponeva continuamente il giudizio di Dio sulla sua augusta persona e poi si stupiva di ritrovarsi contro Montanelli e Flores d’Arcais, Sartori e Scalfari, l’Economist e i No Global, infine Fini e i centri sociali. Uno stupore identico a quello della Boschi, inconsolabile perché dicono No alla sua controriforma i costituzionalisti di destra e di sinistra, l’Anpi e Casa Pound, FI e Lega, B. e Magistratura democratica, De Bortoli e Scalfari, Sartori e i 5Stelle, il Fatto, il manifesto e il Giornale.
Signori miei, l’avete voluta la bicicletta senza il sellino? Ora, se ci riuscite, pedalate.