Libero , 17 giugno 2016
Jack London imparò a leggere a 5 anni e da allora non trascorse mai una notte (che sia uscito o meno) senza libri: «Sono sano, faccio l’amore e mi contento di poco. Ma un giorno questo lo pagherò»
Testo tratto da: La forza della letteratura
a cura di Cristiano spila (Nova Delphi)
Oakland, California, 31 gennaio 1900
Dai quattro ai nove anni ho vissuto in vari ranch della California. Ho imparato a leggere e scrivere intorno ai cinque anni, anche se non ricordo nulla di quel periodo. Mi sembra di aver sempre letto e scritto, e non ho ricordi di una condizione precedente. Mi hanno detto che avevo semplicemente insistito per imparare. Ero un lettore onnivoro, probabilmente perché i libri in casa erano scarsi e dovevo essere grato per ciò che mi cadeva nelle mani. Mi ricordo che, verso i sei anni, lessi alcuni romanzi per ragazzi di Trowbridge. A sette anni, i libri di viaggio di Paul du Chaillu, quelli di James Cook e The Story of President Garfield’s Life. Durante tutto questo periodo, divorai i romanzi della Seaside Library e ciò che potevo raccattare dalle contadine, o i romanzi da due soldi che leggevano i braccianti. A otto anni, mi sprofondai nella lettura di Ouida e di Washington Irving. In questo periodo lessi moltissimo sulla storia americana. D’altronde, la vita in un ranch californiano non è il cibo migliore per l’immaginazione. (...). Comunque, a partire dal nono anno d’età, con l’eccezione delle ore passate a scuola (e io me le guadagnavo col duro lavoro), la mia vita è stata molto faticosa. È inutile fare la lunga squallida lista delle occupazioni, tutte di duro lavoro manuale. Naturalmente, continuavo a leggere. Non stavo mai senza un libro. La mia istruzione è stata popolare, mi sono diplomato a quattordici anni. Ho preso gusto per il mare. A quindici anni sono andato via da casa per vivere nella Baia di San Francisco, che non è proprio un laghetto. Ho fatto il pescatore di salmoni, il razziatore di ostriche, il marinaio su un veliero, il poliziotto di mare, lo scaricatore di porto, una sorta di avventuriero prezzolato – insomma: un ragazzo per l’età ma un uomo tra gli uomini. Ma sempre con un libro, e sempre a leggere quando gli altri dormivano; quando erano svegli, io ero uno di loro, poiché ero sempre un buon commilitone. La settimana prima del mio diciassettesimo compleanno, mi sono imbarcato come marinaio semplice su una goletta a tre alberi. Andammo in Giappone per cacciare lungo la costa settentrionale del mare di Bering. Quello fu il mio viaggio più lungo, non ne avrei mai fatto un altro così; e questo non perché fosse prolungato e tedioso ma perché la vita stessa era troppo corta. Ho fatto molti viaggi, ma troppo brevi per essere raccontati, e oggi mi sento a casa in qualsiasi castello di prora o a fare il fuochista – buon cameratismo, capite. Credo che questo abbia a che fare con i miei viaggi, poiché vi ho parlato a lungo nelle mie precedenti lettere dei miei vagabondaggi e del periodo nel Klondike. (...). Vi dirò qualcosa sulla mia formazione culturale. Essenzialmente, sono un autodidatta; non ho avuto alcun mentore se non me stesso. Mi sono semplicemente iscritto alla scuola superiore e poi all’università, ma mi è stato impossibile fare quel tipo di vita. Ho frequentato il primo anno di scuola superiore a Oakland, dopo di che sono rimasto a casa, senza aiuti, ho fatto in tre mesi il programma di studi di due anni per sostenere l’esame di maturità e mi sono iscritto all’Università della California, a Berkeley. Fui costretto, mio malgrado, a smettere proprio prima di completare il primo anno. Mio padre è morto mentre ero in Klondike, e perciò sono tornato a casa per prendere le redini della famiglia. Per quel che riguarda il mio lavoro letterario, il mio primo racconto è stato pubblicato da un quotidiano nel gennaio del 1899: adesso è raccolto in Il figlio del lupo. Da allora, ho lavorato per “The Overland Monthly”, per “The Atlantic”, “The Wave”, “The Arena”, “The Youth’s Companion”, “The Review of Reviews” ecc., oltre a tanti altri periodici meno noti, per non parlare dei quotidiani e del lavoro per il sindacato. Tutto, o quasi, lavoro da imbrattacarte: pezzi comici, triolet, o disquisizioni pseudoscientifiche su cose di cui non so nulla. Tutto un lavoro da imbrattacarte per guadagnare qualche dollaro, mettendo da parte i miei sforzi più ambiziosi e tutto questo nient’altro che per un futuro di ristrettezze finanziarie. Così, ora, la mia vita letteraria conta appena tredici mesi. Naturalmente, le precoci letture hanno generato in me il desiderio di scrivere, ma il mio tipo di vita mi ha impedito di farlo. Non ho avuto aiuti né consigli letterari di nessun genere – che è un po’ come annaspare nel buio fino a trovare qua e là qualche spiraglio di luce. Il basilare metodo di scrittura giornalistica è stato per me una rivelazione. Neanche un’anima che mi dicesse: tu sei qui e questo è il tuo errore! Ovviamente, durante questo mio rivoluzionario periodo, mi feci delle opinioni sul pubblico attraverso le informazioni dei giornali locali. Ma ciò avveniva anni fa, quando frequentavo le scuole superiori ed ero più famigerato che stimato. Una volta, al mio ritorno da un viaggio per mare, mi capitò di vincere un premio di venticinque dollari messo in palio da un giornale di San Francisco per un racconto sulle università di Stanford e della California. Ciò accese in me la speranza di ottenere qualcosa. (...). Sui miei studi: devo dire che io studio sempre. Lo scopo dell’università è semplicemente quello di preparare una persona a una futura vita da studioso. Questo vantaggio mi è stato negato ma io, in qualche modo, cerco di stare al passo. Non trascorro mai una notte (che sia uscito o meno) senza libri e prima di addormentarmi leggo parecchie ore. Mi interesso a tutto – il mondo è così pieno di cose. Gli studi principali sono quelli scientifici, sociologici ed etici: questi includono la biologia, l’economia, la psicologia, la fisiologia, la storia ecc., e non finiscono mai. E mi sforzo, anche, di non trascurare la letteratura. Sono sano, faccio l’amore e mi contento di poco. Ma un giorno questo lo pagherò.