La Stampa, 17 giugno 2016
Omar Marteen, il terrorista del Pulse che con una mano sparava e con l’altra mandava sms alla moglie. Ultime da Orlando
È stata la decima volta per Barack Obama, la decima visita nei suoi quasi otto anni alla Casa Bianca a una comunità colpita da una strage compiuta con armi da fuoco. Un bilancio pesante che Obama si sarebbe risparmiato volentieri come dimostra la sua crociata per contrastare la circolazione selvaggia delle armi da fuoco negli Stati Uniti. Quella di Orlando però non è solo questione di armi, la strage compiuta da Omar Mateen, 29 enne americano di origini afghane, è frutto dell’incontro fatale del germe dell’estremismo islamico, dell’intolleranza verso i gay, e di un disagio figlio di quella che ormai sembra essere una pronunciata instabilità mentale.
Un detonatore unico di diverse «bombe sporche», fatte brillare tutte assieme nella notte tra sabato e domenica con la mattanza del Pulse, il locale gay nel quale Mateen ha ucciso 49 persone e ferite 53, di cui sei versano in gravi condizioni. E ha costretto Obama a seguire per la decima volta lo stesso doloroso copione.
Appena sceso dall’Air Force One il presidente, assieme al vice Joe Biden, al senatore della Florida Marco Rubio, e a un gruppo di stretti collaboratori, si è diretto all’Amway Center. Ad accoglierlo sono stati, fra gli altri, Rick Scott, governatore della Florida, e Buddy Dyer, sindaco di Orlando. Nel centro Obama ha incontrato in forma privata dapprima i «first responder», coloro che per primi sono accorsi sulla scena della strage la notte tra sabato e domenica, impedendo che Mateen facesse ancora più vittime.
Subito dopo Obama ha visto i familiari delle vittime, ai quali ha espresso il suo cordoglio e il più profondo dolore. Attimi toccanti durante i quali il presidente ha abbracciato e stretto le mani di quei genitori, fratelli e sorelle in lacrime, alcuni dei quali chiedevano che il sacrificio dei loro cari non fosse vano. È stata quindi la volta dei feriti, di gran parte di quelle 53 persone che dal Pulse sono uscite vive ma in molti casi non sulle proprie gambe. E a loro Obama ha espresso grande solidarietà nell’ambito di una visita sobria durante la quale ha voluto dire alla gente di Orlando «non siete soli, soprattutto davanti una tragedia così profonda». È il portavoce John Earnest a sottolineare come il presidente vuole far capire che «l’America è con Orlando e l’America è con la comunità Lgbt».
Parole alle quali hanno fatto seguito poche dichiarazioni essenziali del presidente al pool di giornalisti al suo seguito. «Gli Stati Uniti combatteranno senza sosta i gruppi terroristici», tuona il presidente che però rilancia la sua battaglia spiegando che «il dibattito sulle armi da fuoco deve cambiare».
La visita è terminata con la deposizione di una corona di fiori bianchi al Memorial del Durham Art Center da parte del presidente e di Biden. Questo mentre emergono nuovi dettagli sulla strage del Pulse, in particolare un video amatoriale girato da uno degli ostaggi che si era rifugiato nel bagno del locale assieme a una trentina di persona. Volti impossessati dal terrore di persone sdraiate in silenzio per ore nella speranza di sfuggire alla follia stragista dell’adepto dello Stato islamico. Tutto ciò mentre Mateen scambiava sms con la moglie con una mano, mentre con l’altra tirava il grilletto indiscriminatamente. La moglie aveva capito cosa stava succedendo? Questo è un altro dei tanti elementi su cui gli inquirenti dovranno far luce.