la Repubblica, 17 giugno 2016
Francesco Sauro, lo speleologo precario in grado di influenzare il mondo. Ma ora che il Time lo ha riconosciuto anche l’Italia scommette su di lui
Guarda il mondo dalla sua pancia sin da quando era bambino, la prima esplorazione in grotta a tre anni col padre sui monti Lessini. A 31 anni Francesco Sauro ha un lunghissimo curriculum di esplorazioni e scoperte di grotte, come la Imawarì Yeuta, il più vasto dedalo di laghi di cristalli di minerali sacro per i venezuelani. Ma il mondo si è accorto di lui solo quando il “Time” lo ha incoronato tra i dieci millennials, i nati dagli anni ’80 al 2000, in grado di influenzare il futuro del pianeta. La storia del giovane speleologo veneto, una laurea con lode a Padova, il dottorato di ricerca a Bologna, è balzata in superficie. E l’Italia ha scoperto un altro dei suoi migliori cervelli. Precario, senza futuro. Per “salvare” la sua ricerca l’università di Bologna gli ha riaffidato un corso che aveva perduto come professore a contratto e il coordinamento di due dottorati.
Non molto per uno che è finito nella top ten dei giovani leader mondiali, non crede?
«L’università di Bologna ha fatto invece molto, ha dimostrato di avere capacità di visione che significa credere nella ricerca, creare le condizioni e la possibilità per farla. Poi le persone che valgono la strada la trovano. Sia chiaro, nessuna corsia preferenziale per me, in discussione non era il mio posto, ma il fatto che le mie attività di ricerca potessero proseguire. Questo conta».
Il rettore di Bologna Francesco Ubertini lo aveva anticipato (“Sauro resterà con noi”) dopo aver scoperto la sua condizione precaria in università. Vi siete incontrati ieri, cosa sarà del suo futuro ora?
«Mi è stata data la possibilità di portare avanti gli studi sull’interazione tra il mondo della biologia e quello della geologia minerale in ambienti estremi come le grotte. E poi riavrò un corso».
Lei ha cominciato ad esplorare il mondo di sotto sin da piccolo.
«Mio padre mi portava in estate sui monti Lessini, ricordo la paura del buio. Poi ha prevalso la curiosità, infine la passione. Dopo la laurea in geologia a Padova ho scelto Bologna per il dottorato perché qui c’è un gruppo storico e d’eccellenza che si occupa di speleologia».
Si aspettava il riconoscimento del Time?
«Mi era stato annunciato, erano affascinati dal lavoro che sto facendo in Venezuela con l’associazione La Venta. Ma già nel 2014 avevo ricevuto il premio Rolex Award per le mie scoperte».
Uno speleologo in grado di influenzare il destino del mondo?
Sorride. «È stato riconosciuto ciò che il mondo della speleologia rappresenta, il lavoro di chi sta al buio e che ora finalmente si trova sotto i riflettori. Sono contento di questo perché nei prossimi anni sarà ciò che scopriremo nelle profondità della terra a influenzare la visione del nostro pianeta. Oramai coi satelliti conosciamo ogni centimetro della superficie terrestre, le grotte e gli oceani sono le nuove frontiere rimaste da esplorare. Insieme allo spazio. Non a caso insegno in Germania all’Agenzia spaziale europea».
Cosa si trova sotto terra?
«Un mondo tridimensionale, una geografia diversa. E poi fai i conti con i limiti. Di fronte a una caverna provi ogni volta paura e desiderio».
Ma in Italia ha avuto la possibilità solo di contratti a termine. Nel suo caso fa ancora più rabbia.
«Per noi giovani ricercatori è molto difficile trovare spazi in Italia, ci sono tante eccellenze, il mio non è l’unico caso, ho solo avuto la visibilità del “Time”. Raggiungi i livelli più alti, poi la mancanza di fondi blocca il salto, smorza gli entusiasmi. Inutile ripeterlo, ma la strada è solo una: il governo deve investire di più sulla ricerca di base, questa crea poi l’indotto per quella applicata».
Tentato dalla via di fuga all’estero? “L’abisso” si chiama il suo blog dove colleziona le foto delle spedizioni più estreme: le grotte ghiacciate dell’Uzbekistan, l’inesplorato canyon del Piaxtla in Messico, le discese in Brasile e Venezuela.
«Per ora non mi arrendo, per lavoro sono spesso all’estero, ma il mio contributo, in termini di risultati e scoperte, lo voglio dare qui. E se mai andrò via non sarà una fuga».