la Repubblica, 17 giugno 2016
La Sicilia brucia. Sono centinaia i roghi dolosi ma tra le fiamme divampano anche le polemiche sui piromani, dai forestali alla mafia
Salvo Palazzolo per la Repubblica
Il vento di scirocco tira fino a 45 gradi in Sicilia, nelle ultime 36 ore sono divampati 500 incendi. Da Palermo a Trapani, da Agrigento a Messina sono decine gli intossicati, tanta paura soprattutto in due scuole materne di Monreale. «Sospetto che dietro ai roghi ci siano mani criminali», denuncia il presidente della Regione Rosario Crocetta. «Non è possibile che tutta la Sicilia prenda fuoco per caso nello stesso momento», ribadisce Giuseppe Antoci, il presidente dell’ente Parco dei Nebrodi scampato un mese fa a un attentato mafioso. La pista dei piromani è quella che sta seguendo il commissario Manfredi Borsellino, il figlio del giudice ucciso nel 1992, che indaga sul fronte di fuoco che ha isolato Cefalù e la zona delle basse Madonie: un centinaio le persone allontanate dalle abitazioni e da due hotel, un tratto dell’autostrada Palermo-Messina chiuso.
Per un giorno, la Sicilia si è fermata. Bloccato anche un tratto della Palermo-Mazara del Vallo, fra Carini e Cinisi. Stop alle principali linee ferroviarie regionali, da Palermo in direzione di Messina, Catania e Agrigento. Non sono partiti neanche i servizi sostitutivi con i pullman, perché molte strade sono rimaste avvolte dal fumo. Una giornata lunghissima per l’esercito dei soccorritori; la protezione civile nazionale ha inviato sette Canadair per dare manforte ai quattro elicotteri della Forestale, ma il forte vento ha tenuto a terra gli aerei per molte ore. Intanto, nel pomeriggio, la situazione peggiorava soprattutto a Palermo. A fuoco, il Monte Pellegrino che sovrasta la città, duecento le persone evacuate dalle abitazioni. Per precauzione, il Comune ha disposto la chiusura di giardini e parchi. E ha invitato con un tweet i cittadini a «non uscire da casa». Il prefetto Antonella De Miro ha istituito un tavolo di crisi per far fronte all’emergenza incendi diventata presto un caso nazionale: il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha fatto sapere di essere in «continuo contatto» con il dipartimento della protezione civile.
Ma in Sicilia divampano anche le polemiche. Il presidente della commissione regionale antimafia, Nello Musumeci, rilancia i sospetti sui «piromani asserviti alle organizzazioni criminali» ma punta l’indice contro quelle che definisce «le gravi omissioni degli apparati politici e burocratici regionali: non serve essere particolarmente esperti – dice – per capire che la dimensione del danno poteva essere assai contenuta se i sentieri tagliafuoco della Forestale fossero stati realizzati in tempi ragionevoli». Nel mirino dei piromani è finita anche l’oasi costiera Wwf delle Saline di Trapani. I volontari dicono: «Bisogna intensificare le indagini contro i ladri di territorio».
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Alessandra Ziniti per la Repubblica
Alle quattro del pomeriggio, vista dalle falde di Monte Pellegrino, Palermo sembra una città in guerra. Il cielo è una cortina plumbea, il bagliore dei roghi si alterna a colonne di fumo nero pece, le esplosioni all’interno di case raggiunte dalle fiamme inseguono le sirene delle ambulanze. In una città semideserta, con la gente barricata in casa per sfuggire alla tempesta di scirocco che ha fatto salire il termometro fino a 46 gradi e il sindaco Orlando che invita a non uscire, il presidente della Regione Rosario Crocetta è furioso: «Non è casuale che questo drammatico scenario sia esploso alla vigilia della partenza del piano antincendio varato dalla Regione e quando era previsto lo scirocco».
GLI STAGIONALI
Già, il piano antincendio della Regione: per i 6.500 forestali stagionali, 5.300 a 101 giornate e 1.200 a 151 entrati in servizio proprio da ieri, è stato un vero “battesimo del fuoco”. È tradizionalmente a loro, ai forestali stagionali che ogni primavera attendono questo lavoro a giornate che per molti di loro è anche l’unico, che si attribuisce la “mano criminale” che al primo scirocco da sempre accende contemporanea-mente focolai da un capo all’altro della Sicilia, solo ieri 500. Nel 2012 l’allora assessore alle Infrastrutture del governo Lombardo Andrea Vecchio li accusò apertamente di appiccare il 70 per cento dei fuochi. Ma stavolta i primi 6.500 stagionali in attesa di chiamata sono appena stati assunti. E allora chi mette a ferro e fuoco la Sicilia? E soprattutto perché?
LE IPOTESI AL VAGLIO
Speculazioni edilizie sui terreni bruciati, la mafia dei pascoli o magari, sempre a guardare nel variegato esercito dei 23.000 forestali siciliani, la vendetta di quanti (280) sono stati licenziati dal governo regionale un paio di mesi fa quando uno screening ha portato alla luce fedine penali di tutto rispetto, 17 condannati per mafia e alcuni con sentenze definitive proprio per aver appiccato incendi. «Mi fa orrore il pensiero che criminali siciliani possano incendiare parchi e boschi centenari – ragiona ancora Crocetta – ma non me lo toglie nessuno dalla testa che ci siano interessi speculativi dietro agli incendi in determinate zone della Sicilia».
LE TECNICHE DEI PIROMANI
Il recente incendio che ha mandato in fumo 600 ettari della montagna di Pantelleria, alla vigilia dell’istituzione del parco, è una ferita ancora aperta. E ieri, quando il fronte del fuoco ha raggiunto con una serie di focolai anche il Parco dei Nebrodi, è il presidente Giuseppe Antoci (da poco sfuggito ad un agguato di mafia) a dare una risposta immediata a questi piromani organizzati. «Noi, qui al parco faremo la guerra ai piromani. Metteremo telecamere, controlleremo ogni centimetro e se se ne prenderà qualcuno, ci costituiremo parte civile. Io sono certo che ci sia dolo e so anche che sarà difficilissimo provarlo, perché usano mille tecniche diverse, alcune impossibili da smascherare come dare fuoco agli animali che, scappando, poi diffondono le fiamme».
LA “MAFIA DELLE CAMPAGNE”
Migliaia di ettari andati a fuoco. In teoria la legge impedisce qualsiasi speculazione edilizia. I terreni bruciati dovrebbero essere registrati in un apposito catasto presso i Comuni e non dovrebbero poter essere oggetto per dieci anni di licenze edilizie o di caccia. Ma la prassi è tutt’altra cosa e solo una minima percentuale dei terreni devastati da incendi dolosi viene registrata e dunque messa al sicuro da speculazioni. Dare in gestione le terre bruciate invece si può. Ed è proprio così che, prendendo alla gola poveri contadini incapaci di far fronte agli ingenti danni, la mafia delle campagne e dei pascoli si impossessa di centinaia di ettari su cui poi riesce quasi sempre ad ottenere contributi pubblici.
LE FALLE DELL’ANTINCENDIO
Che siano mafiosi o speculatori, forestali licenziati o assumendi, in Sicilia la macchina dell’antincendio per la quale vengono spesi centinaia di milioni di euro non funziona come dovrebbe. A cominciare dall’attività di prevenzione, vialetti tagliafuoco, pulizia di sterpaglie: avrebbe dovuto essere messa in atto da mesi ma lo scirocco è arrivato prima delle assunzioni degli stagionali. Anche le torrette antincendio e l’impianto di telerilevamento degli incendi, oggetto di un appalto che la Sistet dei fratelli Campione di Agrigento si era aggiudicato a suon di mazzette, non sono mai entrati in funzione visto che la Regione, dopo l’inchiesta aperta dalla Procura di Palermo e l’intervento di Raffaele Cantone, ha bloccato tutto.
IL COORDINAMENTO NON C’È
E poi ci sono i mezzi, totalmente insufficienti ad affrontare un’emergenza di questa portata. Dal 2007 al 2013 la Regione ha speso 30 milioni di euro per il servizio di elicotteri antincendio. Poi l’anno scorso, dopo lo scandalo, il governo Crocetta ha stipulato una convenzione con la Forestale nazionale per avere a disposizione una piccola flotta di quattro elicotteri di stanza in Sicilia mentre dei canadair bisogna attendere l’arrivo da fuori. E, per incredibile che sembri, qui Protezione civile, vigili del fuoco e Corpo forestale lavorano su piattaforme informatiche diverse che non si parlano tra loro. «Manca il coordinamento – dice il capo della Protezione civile regionale Calogero Foti – certo se si comincia così la stagione non c’è da stare allegri».