la Repubblica, 17 giugno 2016
Se il campo della politica ingiallisce e nelle praterie dell’antipolitica crepitano le fiamme
Sono passati settant’anni da quando la Gran Bretagna, guida ideale dell’eterogenea coalizione antinazista, riaprì lo spazio della democrazia e della libertà in Europa. Oggi, a sette giorni dal referendum che deciderà della permanenza britannica nell’Unione Europea – e in buona misura del futuro di ciò che resta della casa comunitaria – dobbiamo chiederci quanto di quelle conquiste sia ancora vivo. O se invece le luci della politica si stiano spegnendo, nel nostro continente e non solo, per riconsegnarci alla brutalità della lotta di tutti contro tutti. Con ogni mezzo disponibile.
L’assassinio di una battagliera deputata laburista, Jo Cox, nel suo collegio elettorale di Birstall – tipica località dell’Inghilterra tradizionale, presso Leeds, nota per aver dato i natali al presunto scopritore dell’ossigeno – è un delitto senza precedenti nella moderna storia britannica. È presto per definirne tassativamente il movente.
Anche se un testimone giura di aver sentito l’omicida strepitare “Britain First” – “la Gran Bretagna prima di tutto” – mentre massacrava la parlamentare, impegnata a sostenere la permanenza del suo Paese nell’Unione Europea.
Resta che l’eco di tanto crimine ha sconvolto la patria della democrazia proprio mentre questa si appresta a esercitarla nella sua forma suprema: la consultazione popolare diretta. La sospensione della campagna su entrambi i fronti – Leave e
Remain – che fino a ieri non si sono risparmiati invettive e colpi bassi, segnala un sussulto di consapevolezza nella più sperimentata democrazia del pianeta: in un paese civile nessuna causa può valere il sangue di un’innocente.
Possiamo mettere da parte analisi e sondaggi condotti finora – gli ultimi davano i pro-Brexit al 53%. Da ieri pomeriggio il referendum sull’uscita o meno del Regno Unito dall’Unione Europea non è più lo stesso. Toni e modi dei due schieramenti dovranno necessariamente adattarsi al lutto.
Ma l’asse dello scontro corre lungo un discrimine irrazionale. I fautori della permanenza nell’Ue giocano la carta della paura, dipingendo dall’alto di un condiscendente paternalismo catastrofi imminenti in caso di Brexit. Quanto ai paladini della sovranità britannica, accendono la rabbia contro i poteri stabiliti, conniventi con l’eurocrazia brussellese nel consegnare le isole britanniche a orde di immigrati infiltrate da terroristi islamici.
In un confronto normale, gli europeisti dovrebbero cantare le lodi dell’Unione Europea – ciò che evitano scrupolosamente, avvertendone l’impopolarità – e gli antieuropeisti dipingere il loro paradiso alternativo, una volta emancipata Britannia dai ceppi di Bruxelles – peccato non ne abbiano la minima idea. Nel Regno Unito si sta giocando una partita al buio. Nessuna persona di senno può prevedere le conseguenze del referendum, quale ne sia l’esito. Di qui il ricorso alla retorica eccitata, che parla alla pancia e annebbia la ragione. Clima ideale per gli imprenditori dell’odio.
Non si tratta di una specialità britannica. La campagna presidenziale negli Stati Uniti segue analogo copione. E la qualità della vita democratica nel Vecchio Continente – soprattutto nei Paesi appena emancipati dalla morsa sovietica, che sembrano regredire verso cupi etnicismi illiberali – non è mai stata tanto misera. Quanto a noi italiani, viviamo in un Paese nel quale Mein Kampf è tornato best seller.
Le gravi notizie che giungono dall’arcipelago che da solo seppe resistere a Hitler finiranno per aprirci gli occhi? Quattro anni fa uno storico australiano, Christopher Munro Clark, che insegna nella università di Cambridge in cui si laureò Jo Cox, pubblicò il suo monumentale studio sulla prima guerra mondiale: I sonnambuli. Come l’Europa è andata alla guerra nel 1914. Siamo in tempo per evitarne una nuova edizione aggiornata a questo secolo. A meno di continuare a far finta di nulla, mentre il campo della politica ingiallisce e nelle praterie dell’antipolitica crepitano le fiamme.