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 2016  giugno 16 Giovedì calendario

Il Pd prende voti solo nei quartieri chic delle grandi città

Alla fine del mio viaggio newyorchese mi sono preso un pomeriggio di riflessione sull’Italia pre-ballottaggi, pregno come sono di segnali, sensibilità, sentimenti, che trasformano in un curioso cocktail tropicale, però a basso contenuto alcolico, analisi fatte togliendo semplicemente l’audio.
Dopo la tornata elettorale del 5 giugno, noi cittadini, ma pure noi analisti, a maggior ragione i politici coinvolti, ci siamo focalizzati sulla classificazione «vincitori-sconfitti», anche se solo dopo il ballottaggio potremo sciogliere questo dilemma. Importanti i risultati (più per loro che per noi popolo), ma capire come si sono palesati e i trend che sottendono lo è molto di più. Altro ci hanno insegnato queste elezioni, oltre la solita saggezza del popolo, tutt’altro che bue, come credono i radical chic.
Un dato è incontrovertibile, il Pd, proseguendo un trend in atto da un quarto di secolo, si trova relegato nei quartieri chic, e relativi salotti/terrazze (drammatica la mappa di Roma, il colore giallo assegnato ai pentastellati è dominante sul rosso del Pd costretto nella ridotta dei Parioli!!) ma perde i quartieri semicentrali e le periferie.
Il tempo di Renzi per fare il Partito della Nazione sta scadendo, per questo i suoi amici del Foglio (bella l’intervista a Mario Sechi del nostro Pistelli) molto insistono per una sua presa d’atto, e hanno ragione.
Anche se termini come «vocazione maggioritaria», «ceti produttivi», «inclusione», «modernizzazione», hanno il sapore acre dei cassetti ottocenteschi, con quadrifogli secchi qua e là sparsi, e poi mi sanno tanto di rimpatriata di un tempo che fu, che più non tornerà.
Concordo con il Foglio, si decida caro Presidente, altrimenti, come dice il mio amico Alberto, l’olezzo di soffritto massonico-azionista si fa sempre più penetrante nei suoi paraggi (cercare di ricuperare credibilità sull’affaire Etruria incolpando un Vegas a fine mandato, e non Banca d’Italia, è operazione da salotti romani datati).
Il nostro problema è altro. Da anni noi occidentali adottiamo la tecnica della frantumazione idraulica (fracking), certo per estrarre lo «shale oil» (specie qua in America), ma lo facciamo pure in termini culturali.
Le Classi Dominanti occidentali stanno, scientemente, frantumando la nostra società, frantumando i nostri vecchi valori, frantumando la nostra vita sociale ed economica. Le motivazioni profonde non le conosco.
Per ridurci a zombie? Per governarci in modo più rilassato? Per conto delle felpe californiane? Che ruolo può avere in ciò il Partito della Nazione? È un amico o un nemico?
Renzi, lo ricordo, membro dei G7, ha deciso di identificarsi con la Classe Dominante occidentale, e chiedere a ottobre un voto on/off. La domanda che si sta materializzando è «Chi vuole ricomporre una società frantumata?» Quelli della spallata o quelli della contro spallata?
Al referendum del 2 ottobre l’ardua risposta. Lo stesso succederà negli Stati Uniti a novembre: Hillary rappresenta il «vecchio», Donald il «nuovo».
Povero Renzi, il mondo corre così veloce che è diventato già «vecchio», senza essere mai stato «nuovo», se non nella breve, mitica stagione della Leopolda e nello scontro con il «vecchissimo» Bersani.
Per costui il tempo del busto in marmo all’ingresso del Nazareno è arrivato, sarà l’ultimo rottamato dell’era Renzi, la sola certezza che abbiamo della prossima stagione autunnale. Prosit.