la Repubblica, 16 giugno 2016
l furbetti del cartellino, ecco com’è nata questa specie autoctona della penisola italica appartenente al genere dei dipendenti pubblici
Il furbetto del cartellino (“Callidulus tabulae”) è una specie autoctona della penisola italica appartenente al genere dei dipendenti pubblici. Per quanto sia difficile distinguerli immediatamente dai loro colleghi – assai più numerosi e facilmente individuabili nel loro habitat naturale: l’ufficio – sono probabilmente gli esemplari meglio conosciuti e studiati.
Su di essi sono stati scritti più libri, articoli e ordini di custodia cautelare che su qualunque altra categoria di impiegati.
Anticamente si credeva che il furbetto del cartellino abitasse soprattutto i territori del Centro e del Sud, ma recenti studi – dovuti soprattutto dell’Arma dei Carabinieri – hanno dimostrato che esso si è diffuso fino a Sanremo, dove un vigile urbano è stato filmato mentre timbrava in mutande (una divisa che rivelava innegabilmente la sua appartenenza alla specie) e addirittura negli asburgici uffici di Bolzano, dove un inflessibile direttore della Corte dei Conti ha scoperto che un suo dipendente, dopo aver strisciato il badge in entrata, si rifugiava in un insospettabile nascondiglio: la sua palestra.
Noti agli studiosi per la loro straordinaria abilità nel teletrasporto – ovvero la capacità di risultare presenti in un posto ed essere invece fisicamente in tutt’altro luogo – i furbetti del cartellino prediligono i centri abitati, agiscono prevalentemente dopo il sorgere del sole e sono divisi in tre sottospecie.
La prima, e più pericolosa, è quella dei “furbetti rapaci”, detti così perché non si accontentano dello stipendio pubblico ma incassano i guadagni di un secondo lavoro: svolto non dopo, ma durante l’orario d’ufficio. Facendo gli idraulici, gli assicuratori, i consulenti, i badanti o vendendo automobili, verdura o ferramenta. Solo nel 2013 ne sono stati scoperti 1274 esemplari, che hanno portato a casa sei milioni di euro (esentasse, si capisce).
La seconda sottospecie è quella dei “furbetti part time”, i quali entrano effettivamente in ufficio, ma a un certo punto se ne allontanano in punta di piedi e senza timbrare. Le prime tracce ufficiali di questa sottospecie risalgono al 1978, quando 52 dipendenti pubblici di Riesi furono denunciati perché avevano abbandonato il posto di lavoro per partecipare al funerale del boss mafioso Giuseppe Di Cristina. Da allora, non si contano più i casi di fuga silenziosa per andare al supermercato, dal parrucchiere, in gita, a pesca o a giocare a pallone (gli uomini- radar di Milano avevano costituito addirittura una squadra: processati in 61 per truffa, furono assolti per insufficienza di prove). Non vanno confusi, i “furbetti part-time” con i “furbetti passivi”, quelli che un bravissimo comico calabrese dipinse perfettamente in un celebre sketch: «Che lavoro faccio? Io timbro la mattina alle 9, e poi timbro un’altra volta alle 15. Non ho mai capito perché devono passare sei ore, tra la prima e la seconda timbratura». La terza sottospecie, la più numerosa ma anche la più difficile da individuare, è quella dei “furbetti febbricitanti”. Sono quelli che non timbrano affatto, ma all’ultimo momento mandano un certificato medico. Si muovono in branco, di solito in quel venerdì in cui un sindacato proclama uno sciopero (ottenendo così il risultato di bloccare il servizio, e di farsi il weekend lungo, senza perdere il giorno di paga). L’avvistamento più importante risale al 2015, quando 894 dei 1000 vigili di turno a Roma la notte di Capodanno non si presentarono in servizio: 644 mandarono un certificato medico, 100 invocarono la legge 104 (assistenza a un parente), 70 presero un permesso retribuito e 80 dichiararono di essere andati a donare il sangue. La sera dell’ultimo dell’anno.
Non essendo una specie protetta, i furbetti del cartellino possono in teoria essere cacciati (non col fucile: con il licenziamento). Fu un sindacalista cislino di La Spezia, Carlo Cerardelli, a dirlo chiaro e tondo per la prima volta: «Cacciamoli». Era il 1990, e a momenti lo linciavano. Solo l’anno dopo la Camera rese obbligatorio lo strumento per la caccia, il cartellino segnatempo. Ma passarono altri 18 anni prima che fosse legalizzata l’arma: la perdita del posto.
Loro, i furbetti, si sono adattati immediatamente al nuovo ambiente naturale: apparentemente ostile, in realtà prigioniero dei cavilli. E hanno trovato anche chi li difendeva in Parlamento: «Meglio gli assenteisti che i padroni evasori» tuonò nel 2007 il deputato Francesco Caruso, di Rifondazione.
E così, tra i tempi biblici dei processi penali e le sabbie mobili dei procedimenti disciplinari, solo in pochi sono stati colpiti. A Modica, per dire, dove 106 dipendenti su 126 furono accusati sei anni fa di truffa aggravata – con 52 dvd di riprese video che inchiodavano i furbetti – nessuno ha perso il posto (e il processo veleggia verso la prescrizione). E volete sapere cos’è successo ai vigili romani? Di quegli 894 che la notte di Capodanno fecero sega, solo 54 rischiano il processo. Il Comune ne ha puniti 30, con “ammonizioni verbali” o con sospensioni inferiori alle due settimane.
Del resto, la musica è stata questa, finora: su settemila procedimenti disciplinari aperti nel 2013, in tutta Italia i licenziamenti nelle amministrazioni pubbliche sono stati 220 (e solo 100 per assenteismo). E sono rimasti casi isolati quello di Acireale (dove 15 furbetti sono stati licenziati a tambur battente poche settimane fa) o quello di Sanremo, dove lo scandalo del vigile in mutande s’è concluso con 32 impiegati messi alla porta, 98 sospensioni fino a sei mesi, 21 sanzioni e 19 “rimproveri” (punizione che somiglia più a un’occhiataccia che a uno scappellotto).
Adesso, dice il governo, le cose cambieranno. Lo speriamo tutti. Ma ancora è presto, per dichiarare il furbetto del cartellino una specie in via di estinzione.