la Repubblica, 16 giugno 2016
Pistorius si gioca la carta dell’invalidità e in tribunale si presenta senza protesi
Il male che subisci. Quando ti tagliano tibia e perone a due anni.
Per il tuo bene. E diventi uno zoppo, uno sciancato, non più Blade Runner, ma solo un disgraziato con i moncherini. Niente protesi, né fibra di carbonio, solo carne del tuo corpo. Ti si accorcia l’altezza, sei un uomo a metà. Oscar Pistorius in tribunale, per non avere un aggravamento della pena, si è tolto tutto: gambe e scarpe. E si è fatto vedere così: dimezzato, con pantaloncini aderenti e maglia vistosa dello sponsor, ha girato tra i banchi, poi si è messo a sedere e ha pianto. Nessuno l’aveva mai visto così. L’umiliazione se l’è imposta da sé. Per commuovere. E in più era anche griffata. L’ha chiesta la sua difesa: per far vedere come possa essere ancor più vulnerabile un uomo disabile svegliato in piena notte. Peccato che in tutta la sua vita Oscar abbia sempre voluto dimostrare il contrario: lui non chiedeva pietà, lui non parcheggiava nell’handicap, lui non si accontentava dello sguardo di compatimento. Anzi seguiva la forza, correva con gli altri, con i più forti. E prendeva applausi e vinceva medaglie. Perché uomo senza gambe può fare tutto. Vero, anche sparare quattro colpi di pistola alla sua fidanzata Reeva. In una notte di tre anni fa. Per gelosia. Quando sei nudo a letto. Senza traguardo. E ti accorgi con rabbia che tu sei «senza».