Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2016
In Calabria la crisi ha bruciato 100mila posti
L’hanno definita l’economia smarrita. E lo smarrimento qui, in Calabria, non è solo, come dire, una dimensione dello spirito, uno stato d’animo. Ma è lo smarrimento di chi stenta a trovare un posto di lavoro e ha scelto la rinuncia, di chi vorrebbe fare impresa e non trova le condizioni giuste per fare gli investimenti necessari. Il rapporto, curato da Rosanna Nisticò (docente di Politica economica all’Università della Calabria) con prefazione del direttore di Unindustria Calabria Rosario Branda, seppur riferito a tutto il 2015 dà il senso della condizione economica della Calabria che lascia gli osservatori disarmati, spaesati, smarriti appunto.
Ed è in questo contesto che vanno, però, ricercati gli elementi di speranza, i segnali positivi che facciano da presupposto per ritrovare la bussola e ripartire «perché la ripartenza – come dice il presidente di Confindustria Catanzaro Daniele Rossi – è un obbligo». Un esercizio difficile, ma non impossibile. Ci sono, dicono gli estensori del rapporto, segnali di ripresa anche se deboli in un contesto molto difficile e ancora fragile. Il bicchiere è vuoto per più della metà, ma nella parte piena c’è abbastanza carburante per mettere in moto la macchina della crescita economica in una regione da tutti condannata senza appello: la crisi non è certo finita, anzi la Calabria perde terreno, perde popolazione, la forza lavoro si è ridotta (104mila occupati in meno dal 2008 a oggi e una base occupazionale che si è ridotta a 515mila unità), cala anche la capacità di creare buona e nuova occupazione e persino la crescita delle imprese ha le sue ampie zone di grigio: il tasso di crescita nel 2015 in Calabria è stato dell’1,31% a fronte di una media nazionale dello 0,75% ma molte aziende, spiega Rosanna Nisticò «nascono per necessità e in settori tradizionali e poco innovativi che non garantiscono lunga vita».
Gli aspetti positivi? Di sicuro l’export che finalmente in Calabria è ripartito anche se il sistema produttivo non riesce ancora a imporsi sui mercati internazionali e infatti la quota sul totale nazionale resta ancora bassa (lo 0,1%): certo i dati Istat riferiti al primo trimestre del 2016 danno l’export della Calabria in calo del 9% ma si confronta con una crescita del 24,7% dell’intero 2015. ma anche i beni culturali, il turismo, il materiale umano che la Calabria continua a cedere ad altre aree del Paese.
Che cosa fare? La riflessione degli imprenditori calabresi i quali pensano che è ormai arrivato il tempo di andare oltre lo smarrimento e che la crisi può persino essere un’opportunità «purché si smetta di considerare solo gli aspetti distruttivi, cominciando a guardare alla crisi come a un’occasione per svoltare con passione e determinazione».