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 2016  giugno 15 Mercoledì calendario

Un bel ritratto di Leonardo Bonucci, il soldato che calcia con l’elmetto in testa

 A un certo punto della notte di Lione il soldato Bi, nome di battaglia di Leonardo Bonucci, ha alzato lo sguardo, osservato il campo di battaglia, verificato la disposizione dei compagni, fiutato il vento e innescato Giaccherini con un lancio da cinquanta metri oltre la trincea belga. In quel preciso istante, mentre la palla planava sul mancino del commilitone romagnolo, il soldato Bi ha capito d’aver completato il lungo addestramento fatto di filo spinato, schiaffi presi in cantina e caramelle all’aglio, e di essere ormai un generale di questa spedizione.
Bonucci il duro, il cattivo, l’antipatico, testimonial di un introvabile colluttorio reclamizzato dopo ogni gol (“Sciacquatevi la bocca”), il giocatore per il quale il resto d’Italia chiede a turno l’ergastolo, il confino, la ghigliottina, ha fatto un lancio alla Pirlo e riempito due vuoti in questa Nazionale: regia e leadership. «Ma la cosa migliore è stata lo stop di Emanuele, è una bella soddisfazione quando in partita ti riescono le cose provate in allenamento». Uno normale, starebbe lì a gongolare. Ma Bonucci non è uno normale. La sua guerra non è mai finita, parla per metafore belliche, racconta del discorso tenuto alla squadra lunedì sera, un attimo dopo la vittoria. L’invito a stringere un patto comune: non abbassare la guardia, perché in Brasile la disfatta cominciò con una festa. «Siamo stati bravi a resistere quando il Belgio ha schierato tutto il suo arsenale. La prima cosa che ho detto nello spogliatoio è che dobbiamo tenere l’elmetto in testa e continuare a combattere, è solo la prima partita. Due anni fa la vittoria sugli inglesi ci fece dimenticare che avevamo sofferto, perciò niente illusioni”. Ha rifiatato nella criosauna: sorrideva come fosse ai Caraibi e non a -110 gradi.
L’Équipe lo ha incoronato “Vice Pirlo e libero moderno”. Nella storia tormentata di Leonardo, figlio di impiegati, cresciuto centrocampista fra i vicoli medievali di Pianoscarano a Viterbo, diplomato ragioniere con voto altissimo, scartato dall’Inter e messo in tribuna dal Treviso, ci sono tre incontri fondamentali. Il primo, con il motivatore Alberto Ferrarini, quello degli schiaffi in cantina per farsi il carattere, delle caramelle all’aglio per sfinire gli avversari e dell’invenzione di un nome da battaglia: fu lui che preparò Toldo all’Europeo del 2000. Il secondo con Giampiero Ventura a Pisa. Il terzo con Antonio Conte in bianconero. Se l’attuale ct avesse potuto creare in laboratorio il suo leader, e non è detto non l’abbia fatto, sarebbe uscito fuori Bonucci. «Abbiamo trasferito in Nazionale lo spirito della Juve – aggiunge il difensore – noi vecchietti lo stiamo inculcando a chi è meno abituato a giocare con queste pressioni, ogni tre giorni. Le critiche abbiamo cercato di tramutarle in rabbia positiva, sta a noi continuare a far ricredere gli scettici. Per ora credo che gli italiani siano orgogliosi di noi». Nelle altre competizioni con la Nazionale era stato in panchina o in discussione, nel 2012 la sua convocazione in piena bufera calcioscommesse – era indagato, poi assolto – divenne un caso. Ora è insostituibile, in due anni fra Juventus e Italia ha giocato già 121 gare su 130 possibili, 180 ore in tutto. E ora che è in diffida, come Chiellini, Éder e Thiago Motta, c’è l’ansia che possa saltare una gara decisiva. Quando giocava in parrocchia, diceva alla madre: «Sai, un giorno giocherò in Nazionale». La signora Dorita sorrideva. Le mamme sanno sempre tutto.