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 2016  giugno 15 Mercoledì calendario

Eadweard Muybridge, il fotografo che immortalò il movimento


Eadweard Muybridge è considerato il fotografo che inventò il movimento, ma al di fuori del mondo delle scuole e dei professionisti del settore lo si conosce poco. Ed è un peccato, perché la sua è una vita da film, tra scienza, arte, tecnologia e Far West. Una storia partita dall’Inghilterra dove faceva il libraio e approdata nella favolosa America di metà Ottocento. Terra magica per realizzare i sogni di pionieri come lui, che trovò subito un mecenate pronto a mettergli a disposizione tecnologia e denari purché rispondesse con evidenza scientifica – anzi fotografica – a una sua curiosità: durante il galoppo i cavalli alzano contemporaneamente tutte e quattro le zampe come li ha dipinti, per esempio, Géricault nel suo Derby a Epsom

Il segreto del galoppo
Il mecenate in questione si chiamava Leland Stanford (sì, quello della futura Università che dedicò al figlio morto giovane), era governatore della California e ricco allevatore di cavalli. Muybridge inventò un ingegnoso set fotografico che riuscì a catturare quel movimento «invisibile» e a dimostrare che effettivamente per un attimo gli zoccoli risultavano tutti in aria, ma non nel momento di massima estensione così come venivano ritratti dai pittori. Il set prevedeva uno sfondo disegnato come una carta millimetrata, davanti al quale il cavallo avrebbe attraversato una sequenza di 24 fotocamere collegate ad altrettanti fili; strappando con le zampe i cavi uno dopo l’altro le macchine avrebbero scattato e catturato il movimento.
Da allora i pittori – da Degas a Duchamp, Bacon, Rodin – cominciarono a fidarsi meno del loro occhio e più della fotografia, con una grande attenzione alle sequenze di Muybridge, che dopo i cavalli si sarebbe dedicato ad altri animali e infine agli uomini. Le sue «cronofotografie» cominciarono a girare nell’ambiente scientifico e lui fu presto chiamato all’Università della Pennsylvania a proseguire i suoi esperimenti. Pioniere a tutto tondo, non si fece mancare nemmeno una pistolettata con cui fece fuori l’amante della moglie e che gli costò tre anni di processo da cui uscì assolto grazie all’attenuante dell’onore e soprattutto all’amicizia di Stanford. 
Animali e figure umane
Oggi a questa figura di fotografo e uomo tra ’800 e primi del ’900 è dedicata la prima mostra italiana, «Muybridge Recall», fino al 1° ottobre alla Galleria del Credito Valtellinese, ex refettorio delle Stelline di Milano che dà sugli Orti di Leonardo. Curata da Leo Guerra e Cristina Quadrio Curzio, è un tuffo in un mondo in bianco e nero ma moderno, in cui entrare attraverso gli occhi di un uomo che non aveva intenti artistici ma scientifici. Le prime immagini in mostra sono infatti le «cartoline» dalla Yosemite Valley, primo grande successo di Muybridge. Erano vedute di territori ancora sconosciuti che la fotografia faceva scoprire, imponendosi «come medium informativo nella società, con l’ansia di conoscenza e di progresso competitivo che coinvolgeva il Nuovo Mondo», come scrive lo storico Italo Zannier nel catalogo.
Poi vengono le cronofotografie più famose, ristampate su lastre di vetro e retroilluminate in modo che sia possibile coglierne tutti i dettagli. Ecco quindi le sequenze di animali dello zoo di Philadelphia: un cavallo al trotto, uno che salta gli ostacoli, uno che scalcia. E poi un maiale che corre, un bufalo, una lotta fra galli, l’atterraggio di un’aquila. E finalmente le figure umane, uomini donne e bambini che Muybridge trova nell’Università della Pennsylvania e dintorni. Nella serie degli studenti-atleti c’è il lanciatore del disco, il vogatore, due boxeur in lotta. Tutti nudi, per registrare meglio torsioni e tensioni dei muscoli. Le donne, con bambini o no, sono nude e vestite, ma hanno sempre in mano qualcosa da muovere, che sia la racchetta da tennis o un ventaglio. 
Ispirò i cartoonist
L’intento medico-scientifico, e forse non proprio politically correct per i gusti di oggi, è nelle immagini degli ospiti del nosocomio per disabili vicino all’università. C’è il bambino senza gambe che sale e scende dalla sedia, una donna obesa che cammina, si sdraia e a fatica si rialza. Tutto, sempre, su un fondale che è come una carta millimetrata e che è stato riprodotto in mostra non solo per far «vedere» l’invenzione di Muybridge, ma anche per farne comprendere l’attualità. Otto Canon digitali lungo una parete di 20 metti hanno fissato il movimento di un ballerino, di un cane e di altri studenti-performer del Naba di Milano, e le sequenze a colori ottenute sono parte di questa mostra che così racconta un uomo dell’Ottocento che ha anticipato il cinema e ispirato i cartoon. «Quei grandissimi artisti che gli americani chiamarono cartoonist, dovendo produrre strisce tutti i giorni e alla svelta, attinsero con voracità a quel catalogo ipernutrito di anatomie umane che erano i volumi di Muybridge – spiega Cristina Quadrio Curzio -, così che la sua eredità più evidente sono proprio le comic stripes». 
Due docufilm su Muybridge realizzati negli Anni Ottanta dal regista sperimentale Paolo Gioli completano questa innovativa mostra che davvero «rievoca» un grande personaggio più che celebrarlo.