la Repubblica, 15 giugno 2016
Il califfo si sta giocando le sue ultime carte
Il califfato terrorista ha aperto una nuova fase della sua attività. Le ultime stragi, a Orlando in Florida e a Magnanville a ovest di Parigi, subito rivendicate, ne sono la prova. Ad ispirarle è stata l’ideologia jihadista, ma non sono avvenute sotto il controllo operativo dei jihadisti. Ispirate dunque, ma non dirette. È questa adesso la tattica del Califfato.
Lo “Stato islamico” perde territorio nella valle del Tigri e dell’Eufrate e nel Golfo della Sirte, e cerca di compensare le sconfitte mediorientali e libiche con il terrorismo in Occidente. Per questo conta sulle azioni dei giovani musulmani ispirati dal jihadismo, destinati ad agire nei paesi in cui vivono. Giovani convinti di riscattarsi quando danno spontaneamente un’impronta jihadista a motivi personali, non sempre confessabili, relegati nell’inconscio. La conversione all’Islam radicale è vissuto come un abbraccio catartico. Il quale comporta la morte, vale a dire un’evasione da tante frustrazioni per chi è in preda a un fanatismo religioso. Il terrore diventa una via alla salvezza.
L’offensiva dei “lupi solitari” che non dirige ma che ispira, esortandoli a uccidere e a suicidarsi, è una prova di debolezza del Califfato, ma anche un’insidia imparabile come dimostrano i massacri degli ultimi giorni. È una debolezza perché le perdite di territori limitano drasticamente l’accoglienza dei volontari. E accresce il pericolo degli attentati per l’impossibilità di individuare i terroristi improvvisati. Quelli ispirati, non vincolati a un’organizzazione. Questa è la conclusione cui si arriva se si osserva come si sono svolti i fatti recenti nel night club gay americano e nella famiglia dell’ufficiale di polizia francese.
Le prime indagini avevano lasciato capire che, a Orlando, in Florida, il giovane terrorista si era indignato quando aveva visto due uomini baciarsi. Si è poi saputo che era un frequentatore del locale per gay. Ma non si sa con esattezza se era lui stesso gay, magari frustrato, con complessi di colpa, oppure un falso cliente che spiava il luogo dove avrebbe compiuto la strage. Comunque se quelli del Califfato hanno accolto con soddisfazione il massacro degli omosessuali, non si può dire che la loro eliminazione sia uno dei principali obiettivi per i jihadisti. In realtà essi odiano quasi tutti: gli occidentali in generale, gli ebrei in particolare, ma anche i cristiani in tutte le versioni, gli sciiti, le minoranze musulmane, e in definitiva tutti i musulmani che non sono d’accordo con loro. La propaganda del Califfato, precisa Daniel Byman (in un saggio apparso su Slate) non ha mai preso di mira gli omosessuali, e dunque il terrorista di Orlando ha usato l’-I-slam per giustificare una sua fobia, quando era ormai in preda al raptus della violenza. Voleva dare una ragione alla sua azione, investirla di un potere per lui purificatore. Quello di Orlando è un esempio di terrorista ispirato.
A Magnanville, nelle Yvelines, l’accoltellatore dell’ufficiale di polizia e della moglie era un pregiudicato. Già condannato per furti vari e negli ultimi anni perché implicato in un’operazione destinata ad arruolare volontari per la Siria e l’Iraq. Ma da un po’ di tempo era senza contatti diretti con quel mondo: da quando le offensive aeree concorrenti, l’americana e la russa, con le rispettive fanterie, la curda e la sciita, hanno ridotto il territorio del Califfato. E quindi reso difficile l’invio in Medio Oriente di aspiranti jihadisti. Nell’attesa di un’attività più impegnativa, il futuro terrorista di Magnanville si occupava di una bottega di fast food. Ma lunedì sera ha accoltellato l’ufficiale di polizia che rincasava e poi la moglie e il figlio di tre anni. Perché ha preso di mira quella coppia? Per dare un significato al duplice omicidio ha ritenuto necessario telefonare alla polizia per precisare che agiva in nome dello “Stato islamico”. E attraverso Facebook ha diffuso un video in cui spiega tra l’altro il motivo religioso della sua azione. Era sporco di sangue, non sapeva se uccidere o no il bambino di tre anni, figlio dell’uomo e della donna che aveva appena massacrato, ma aveva l’ossessione di dare una ragione religiosa a quanto aveva fatto. E aveva fretta perché sapeva di dover morire. Un lampo di autentica umanità gli ha fatto salvare il bambino steso su un divano. Ecco un altro ispirato.
Come psicanalista, Fethi Benslama sottolinea la fragilità dei giovani musulmani che, usciti dall’adolescenza, sono alla vana ricerca di un lavoro stabile nel paese in cui sono immigrati i genitori o i nonni. Pure loro rimasti ai margini della società europea. Smarriti, in preda a disturbi psichici, quei giovani accettano l’offerta di un impegno radicale, che dà un’impressione di potenza e cancella tutte le difficoltà. L’integralismo religioso, nella versione jihadista, conferisce anche un senso alla vita. Offre l’occasione di assumere la difesa di una grande causa. Quella dell’Islam come lo interpretano i jihadisti. È una missione tesa a salvare la società, il mondo, che merita di sopravvivere. E i jihadisti sono i giudici che devono decidere quale lo merita.
Questo vale per i giovani nella frustrante attesa di entrare nella vita attiva. Per i delinquenti, e sono numerosi, l’adesione jihadista consente di riciclare la colpe, di conferire una nobiltà agli atti compiuti contro la società. La catarsi avviene al prezzo della propria vita e di quella degli altri. La buona causa, dice lo psicanalista, maschera i crimini, li rende fonte di soddisfazione. Uccidendo il terrorista conquista la potenza del disastro. Il quale culmina con la propria morte, in un quadro eroico.
Il numero dei terroristi “diretti” o “ispirati” dipende dalla situazione. Quando i jihadisti guadagnano terreno, soprattutto come nel 2014 in Siria e in Iraq, e anche in Libia, l’organizzazione è in grado di organizzare campi di addestramento in cui affluiscono migliaia di reclute. E si moltiplicano allora i terroristi diretti dallo “Stato islamico” che partono in missione nei diversi paesi. Gli attentati di Parigi si sono svolti con un piano stabilito dai comandi siriani. Avendo perduto molto terreno, e quindi disponendo di meno campi d’addestramento, e ricevendo meno volontari, lo “Stato islamico” ha aperto quello che può essere considerato un nuovo fronte sul quale operano gli ispirati. Giovani che non abbandonano i paesi in cui vivono abitualmente, e di cui hanno spesso la nazionalità. Non sono addestrati, ma sanno uccidere. Sono mine vaganti. E non è facile reperirle.