Corriere della Sera, 15 giugno 2016
Il Jobs act ha spaccato la Francia e i cassseurs scendono in piazza
L’indomani del massacro islamista della coppia di agenti a Magnanville non sarebbe stata la giornata adatta per gridare «un poliziotto, una pallottola» e «tutti detestano la polizia». Eppure sono slogan che i «casseurs» hanno gridato più volte, ancora ieri, nel corso del corteo partito nel primo pomeriggio da place d’Italie e finito sull’esplanade des Invalides, dove l’asfalto è stato divelto per poterne tirare pezzi contro i Crs in tenuta anti-sommossa.
Peccato, come sempre, anche per la stragrande maggioranza dei manifestanti — pacifici — arrivati a Parigi per la giornata di protesta che il sindacato Cgt si augurava fosse la più grande dall’inizio del movimento contro la riforma del lavoro.
La disparità delle cifre sulla partecipazione fornite dal sindacato e dalle autorità è talmente ridicola da fare invidia alle abitudini italiane. In tutta la Francia si sono mobilitate 125 mila persone secondo il ministero dell’Interno, un milione e 300 mila stando alla Cgt. A Parigi, 75 mila contro un milione. In ogni caso, nella capitale mai così tante persone sono scese in piazza per chiedere il ritiro della legge El Khomri.
Camminando per boulevard Raspail, il punto dove gli scontri sono stati più intensi, con un granata lanciata dalla polizia ad altezza d’uomo e sei manifestanti feriti a terra, si aveva l’impressione che tutti fossero preparati al peggio e stessero recitando il ruolo già deciso da giorni. I poliziotti con le barriere mobili, i camion, gli idranti, e i fumogeni tirati qualche volta in modo non regolamentare. I violenti vestiti di nero, con i passamontagna e le sbarre di ferro. I giornalisti, non pochi con le maschere antigas, i caschi e i giubbotti con la scritta «press», come nelle zone di guerra. E i militanti sindacali, che facevano sventolare le bandiere rosse della Cgt o di Force Ouvrière, e esibivano striscioni contro l’articolo 2, da settimane ormai il cuore dello scontro.
Il premier Manuel Valls ha dichiarato più volte che non tornerà indietro e non lo modificherà, perché sancire il nuovo primato degli accordi di impresa su quelli di settore «significa introdurre più flessibilità, permettendo che lavoratori e imprenditori trovino intese caso per caso, in modo da trovare le soluzione più efficaci per tutti». Per Philippe Martinez, leader della Cgt, l’articolo 2 significa invece l’indebolimento e la sconfitta definitiva delle lotte dei lavoratori, «che non avranno più alcun potere contrattuale nazionale, saranno frammentati azienda per azienda e quindi in balia dei patron ».
Chi è favorevole alla legge El Khomri dice che è inutile battersi per tutelare lavori che non esistono, meglio provare a creare qualche posto in più e rilanciare l’occupazione rinunciando a vecchi o nuovi privilegi, come le irrealistiche 32 ore lavorative alla settimana (nel Paese già delle 35 ore) che fanno parte delle ultime richieste avanzate dalla Cgt.
Chi è contrario contesta il tentativo del governo socialista di soffocare la protesta nei modi più vari: repressione poliziesca, richiamo al senso di responsabilità nei giorni della minaccia terroristica, appello a non rovinare l’immagine della Francia proprio ospita gli Europei di calcio. Come se per non fare brutta figura si potesse rinunciare a conquiste democratiche fondamentali come il diritto di sciopero e di manifestare.
Difficile dire chi abbia ragione. Di sicuro hanno torto i «casseurs», versione locale dei black bloc, che ieri come e più del solito hanno spaccato vetrine, insultato gli agenti, lanciato pietre e ogni genere di oggetti contro le forze dell’ordine. Quaranta feriti, 58 arresti e un nuovo, geniale simbolo dell’oppressione capitalistica: l’ospedale pediatrico pubblico Necker, dove — tra l’altro — è ricoverato il bambino di tre anni che l’altra notte ha visto i genitori poliziotti sgozzati dal terrorista islamico.
I «casseurs» hanno sfondato i pannelli di vetro dell’ospedale pediatrico, uno dei migliori d’Europa. Sapevano quel che facevano, perché hanno rivolto un consiglio ai bambini malati ricoverati all’interno. Tre parole sulla facciata, scritte con la vernice rossa in un corsivo da scuola elementare: «Non lavorate mai!».