la Repubblica, 15 giugno 2016
L’editto bulgaro di Trump: da ieri tutti i giornalisti del Washington Post sono messi al bando dai suoi eventi elettorali, comizi, conferenze stampa
«Sulla base delle cronache incredibilmente inesatte della nostra campagna elettorale, revochiamo all’istante l’accredito al falso e disonesto Washington Post». Col plurale maiestatis Donald Trump ha annunciato così, su Facebook, il suo “editto bulgaro”. Da ieri tutti i giornalisti del Washington Post sono messi al bando dai suoi eventi elettorali, comizi, conferenze stampa.
Una delle più antiche e prestigiose testate d’America, che fu protagonista dello scoop sul Watergate e portò alla caduta del presidente Richard Nixon, non può seguire il candidato repubblicano del 2016. È una censura senza precedenti. O meglio: senza precedenti nell’era pre-Trump. The Donald ha colpito con sanzioni simili giornalisti di altre testate, inclusi alcuni media digitali tra i più popolari d’America come The Huffington Post e Politico. com.
Che cos’ha scatenato l’aggressione al
Washington Post? Questo titolo: “Donald Trump suggerisce che il presidente Obama era corresponsabile della strage di Orlando”. Una forzatura, secondo il tycoon newyorchese. In realtà quel titolo era accurato. Dopo il massacro del Pulse Club, Trump ha insinuato proprio quello. Ha accusato il presidente perché nella prima dichiarazione sulla sparatoria non usò il termine “islamista”. Ecco le parole di Trump: «Siamo governati da un uomo che o è debole, o stupido, oppure ha qualcos’altro in testa. O non capisce, o peggio, c’è qualcosa dietro. Forse capisce meglio di tutti gli altri». L’allusione a un’indulgenza o perfino complicità di Obama si ricollega al filone che Trump cavalcò già nel 2012 con la falsa leggenda di Obama musulmano (oltre che nato in Kenya). La reazione del tycoon non si è limitata alla revoca degli accrediti. Trump è tornato ad accusare l’editore del Washington Post, quel Jeff Bezos che è anche il fondatore di Amazon. Trump minaccia di punire Bezos per le critiche del Washington Post. Quando sarò presidente – ha ripetuto più volte – lancerò accertamenti fiscali su Amazon.
Questo accade nella patria del Primo Emendamento, in una liberaldemocrazia segnata dal rispetto per la libertà di espressione. Dove la stampa è considerata parte integrante dei “checks and balance” costituzionali, i poteri e contropoteri che garantiscono il cittadino dagli abusi, dalle derive autoritarie. Non è mai stato idilliaco il rapporto fra i mezzi d’informazione e i politici, ma perfino un presidente senza scrupoli come Nixon, quando esercitò pressioni sull’editrice del Washington Post Katherine Graham, lo fece di nascosto. Trump urla i suoi editti in pubblico, li rivendica con orgoglio. Prima di quest’ultimo episodio abbiamo visto una conferenza stampa in cui The Donald insultava individualmente, chiamandoli per nome, i singoli anchormen televisivi colpevoli di averlo criticato. La sua base adora quel genere di linciaggio verbale: i media sono per definizione «élite liberal, complici e servi dell’establishment progressista». (Una finzione che ignora l’immenso potere di tv, radio e giornali in mano alla destra). Tra le cose che Trump non sopporta c’è il “fact-checking”: il vizio di alcuni media di verificare le sue affermazioni, segnalando le menzogne sistematiche.
È uno spettacolo allarmante, che si aggiunge ad altre derive inquietanti nel linguaggio di Trump: non solo populista ma anti-costituzionale e autoritario. Il singolo gesto più “ostile” che il Washington Post abbia fatto – visto nell’ottica intollerante di Trump – forse è la pubblicazione di un articolo dell’intellettuale neoconservatore Robert Kagan. Il titolo: “Così il fascismo arriva in America”. Ma la voce di Kagan sta diventando una delle solitarie eccezioni nella destra americana. Pur di non lasciar vincere Hillary Clinton, l’establishment repubblicano nelle ultime settimane si è allineato a Trump. In quanto ai media di destra, la Fox News di Rupert Murdoch che lo aveva osteggiato, adesso rivolge i suoi strali alla Clinton. Se Trump dovesse vincere a novembre, un’intera classe dirigente conservatrice avrà responsabilità enormi. Si sta girando dall’altra parte, fa finta di non vedere un capitolo di storia ignobile in cui vengono calpestati i valori fondamentali degli Stati Uniti.