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 2016  giugno 14 Martedì calendario

I tedeschi sono sempre pessimisti. Tranne quando si parla di calcio

I tedeschi sono, per natura, e ricordi storici, pessimisti. Per loro, il bicchiere è sempre mezzo vuoto, ed è sempre 5 vor 12, cioè mancano cinque minuti a mezzogiorno, ora a cui dovrebbe arrivare l’immancabile catastrofe. Fanno eccezione i tifosi di calcio, sempre sicuri di vincere, a meno che non s’incontri l’Italia.

Su di loro grava un blauer Fluch, una maledizione azzurra. Anche per i campionati d’Europa in corso in Francia, il 48 per cento ritiene che si chiuderanno con la loro Deutschland campione. Una percentuale forse modesta rispetto al passato, ma domenica all’esordio hanno faticato fino all’ultimo contro l’Ucraina.
Per Berlino, e altrove, cominciano a circolare auto imbandierate con il tricolore, il loro, con i colori che sono poi quelli di Roma, di Giulio Cesare e di Totti, il rosso e l’oro, più il nero aggiunto nel 1848. La bandiera appare ai balconi, e sventola all’ingresso dei ristoranti, anche quelli turchi. Erdogan ha dichiarato guerra a Frau Angela, ma gli osti del Bosforo pensano agli affari. E arriva la solita domanda: ma si può? Ecco che tornano i temibili teutonici che vogliono conquistare l’Europa, sul campo di calcio, e su quello dell’euro.
Per 60 anni, dalla fine della guerra, non si era osato. La moda esplose nel 2006, in occasione dei mondiali di calcio che si conclusero con la nostra vittoria, dopo aver eliminato i crucchi in semifinale. Sempre precisi, i tedeschi calcolarono che una bandierina sul cofano aumenta il consumo dello 0,2%. Per una volta se ne infischiarono, e ne issarono anche quattro: la tedesca, e altre tre secondo il gusto personale, le stelle d’Europa, il gagliardetto con l’orso berlinese o i colori bianco e celesti della Baviera. All’epoca mi intervistavano di continuo, alla radio e alla tv. «Lei non si preoccupa?» «Nein». «E perché?» mi guardavano con sospetto. Ero un ingenuo, o un fascista di ritorno.
«Non mi preoccupo perché lei si preoccupa. Alla domenica, negli stadi italiani, si sventola la svastica, si fa il saluto fascista, e nessuno si preoccupa». Perché i ventenni tedeschi non possono festeggiare la loro squadra di calcio, come i coetanei di Roma o di Parigi, di Madrid, o di Londra?
Sempre in quell’estate di dieci anni fa, una mia amica toscana che insegna all’Università a Berlino mi raccontò d’aver vissuto la notte in cui cadde il Muro: «A un tratto si misero a cantare tutti Deutschland über alles e mi fecero paura». «Perché mai? Non avevano il diritto di sentirsi felici in quella notte?» Walter Momper, allora sindaco di Berlino, disse: Oggi siamo il popolo più felice del mondo. E Willy Brandt era in lacrime. «Perché tu sei siciliano, e non hai avuto esperienza delle rappresaglie naziste sugli Appennini, da me in Toscana». Io ricordo le bombe su Palermo, anche se nessuno mi crede, avevo un paio d’anni, lei sarà nata vent’anni dopo la guerra.
Anche oggi, c’è chi non tollera le bandiere tedesche sventolanti per festeggiare un goal. «Patriotismus = Natiolanismus», denunciano i giovani dei Grünen, i verdi, nella Nord Renania Westfalia. Bisogna vietarle ai tifosi. I verdi potrebbero formare il nuovo governo (nel settembre 2017) insieme con Frau Merkel, ponendo fine alla Grosse Koalition con i socialdemocratici. O con un tricolore, di altro genere, un rosso rosso verde, con l’Spd e la sinistra della Linke, mandare Frau Angela in pensione. Ma sembrano decisi a perdere voti, come nel 2013, quando misero in programma per legge un giorno vegetariano nelle mense aziendali, per salvare il popolo. Dal colesterolo o dal nazionalismo, non importa. Quello calcistico è un party-patriotismus, denunciano, sempre insidioso.
Ai verdi della Westfalia, si associa la portavoce del partito a Berlino, Emma Sammert: mentre aumentano i seguaci dell’AfD, l’Alternative für Deutschland, il movimento anti stranieri, anti Europa, e anti euro, che vuole una Germania riservata ai tedeschi, non le sembra in caso di fomentare sentimenti nazionalisti con la scusa del calcio. Io sarò ingenuo, e superficiale, ma continuo a non preoccuparmi. Nella nazionale tedesca scesa in campo domenica a Lille su undici, ben sei avevano radici e nome stranieri, dal turco Mesut Özil, al senegalese Souleymane Sahne, al tunisino Same Khedira, al ganese nato a Berlino Jerome Boateng. Il vice leader dell’AfD, Alexander Gauland, ha dichiarato nei giorni scorsi che nessun tedesco vorrebbe avere per vicino di casa il negro Boateng. Secondo un sondaggio, quattro su cinque, anche tra i populisti, preferirebbero vivere sullo stesso pianerottolo con Jerome, piuttosto che con Alexander. Certamente, la percentuale cambierà se Boateng farà perdere la Germania contro gli azzurri con un autogoal, ma io continuo a non preoccuparmi. Almeno allo stadio.