14 giugno 2016
A detta della prima moglie il killer di Orlando era «un uomo mentalmente instabile» • L’omosessualità è un tabù per due musulmani su tre • Oggi Berlusconi sarà operato al cuore • Si è schiantato sul Monte Bianco Dario Zanon, l’acrobata dei cieli in tuta alare • Per Parolisi niente attenuanti: resta la condanna a 20 anni • Microsoft ha rilevato LinkedIn
Strage 1 Omar Mir Saddiq Mateen, il ventinovenne che nel locale Pulse di Orlando ha ucciso 50 gay e ne ha feriti altri 53 (vedi Fior da fiore di ieri), a detta della prima moglie, l’uzbeka Sitora Alisherzoda Yusufiy, «era mentalmente instabile, malato». Un uomo «disturbato», non un fanatico religioso. La sua ex racconta che Omar era più interessato alla palestra che ai sermoni dell’imam. Piuttosto, era ossessionato dalle forze dell’ordine, aveva pure fatto domanda all’accademia di polizia, nel frattempo lavorava come agente di sicurezza presso un carcere minorile. Nessuna avvisaglia, del suo «arruolamento» nell’Islam radicale. La donna con lui ha convissuto solo qualche mese, nel 2009: «All’inizio sembrava normale, ma ho capito presto che qualcosa non andava. Era bipolare, si arrabbiava per nulla. Avevo paura. Tornava a casa e mi picchiava continuamente, magari solo perché la lavatrice stava ancora andando... Mi hanno salvato i miei genitori». La seconda moglie Noor Zahi Salman da sabato invece ha fatto perdere le sue tracce, ha cancellato tutti i suoi profili «social», Facebook compreso, e si è nascosta chissà dove. Pare che già da qualche tempo avesse lasciato Mateen e se ne fosse andata con il figlio di tre anni (Gandolfi, Cds).
Strage 2 Nel 2015 Seddique Mateen, padre del killer di Orlando, emigrato in Usa dall’Afghanistan dopo l’invasione sovietica, comparve come ospite in uno show televisivo in California durante il quale si proclamò presidente dell’Afghanistan. Dopodiché ha postato diversi video su YouTube che lo riprendono in uniforme mimetica e posa militaresca mentre denuncia il governo del Pakistan e proclama il suo appoggio ai talebani. Nell’ultimo video postato su Facebook, Mateen parla in Dari, alle spalle una bandiera afghana: chiede scusa per le azioni di suo figlio, «non so perché avesse l’odio nel suo cuore». Ma poi parla di omosessuali, dice che «sarà Dio a giudicarli» (ibidem).
Strage 3 Seddique Mateen dice che il figlio «non ha mai dato segni di estremismo, parlavamo di religione, frequentava la moschea, ma come ogni buon fedele». Eppure secondo gli inquirenti i due viaggi in Arabia Saudita (così come il killer di San Bernardino), il presunto contatto con Moner Mohammad Abusalha, kamikaze che si è fatto esplodere in Siria, e l’ammirazione sempre presunta per Marcus Dwayne Robertson, l’imam che predicava l’odio contro i gay, dicono molto su Omar. Ieri Dwayne Robertson è stato interrogato dall’Fbi, come pure Shafiq Raham, l’imam che predica nella moschea di Fort Pierce frequentata in passato proprio da Mateen e Abusalha. Questi legami portarono l’Fbi a interrogare Mateen per ben due volte, senza seguiti giudiziari per mancanza di prove. La stessa Fbi ha comunque riferito che Mateen «si è indottrinato negli Stati Uniti» e che «non ci sono prove che sia stato guidato dall’estero». In ogni caso le indagini proseguono e potrebbero esserci altri indagati (Semprini, Sta). Tabù Secondo un grafico del «Washington Post» alla fine del 2014 solo 5 paesi musulmani non ritenevano l’omosessualità un reato (Giordania, Indonesia, Turchia, Albania, Mali), 10 prevedono la pena capitale (l’ong Homan stima che dal ’79 a oggi l’Iran abbia ucciso 4000 gay). Molti poll, da Gallup a Zogby, confermano come oltre il 70% dei musulmani occidentali giudichi immorale l’omosessualità (Paci, Sta).
Berlusconi Stamattina alle otto l’intervento a cuore aperto a Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, 79 anni, prima di entrare in sala operatoria si è confessato e ha preso la comunione. I figli e gli amici più cari, praticamente gli unici a potergli fare visita in questi giorni, lo dipingono tranquillo, anche se lui stesso ammette: «Sono naturalmente preoccupato. Ma sono stato molto confortato dalle tante dimostrazioni di stima, sostegno e affetto che mi sono pervenute da ogni parte, anche dai cosiddetti avversari politici». Tra gli altri, gli hanno inviato messaggi d’auguri il premio Nobel Dario Fo e la parlamentare del centrosinistra Rosy Bindi, di cui molti ricordano i battibecchi con il Cavaliere. «Che bella un’Italia così in cui tutti si vogliono bene! — dice il leader di FI —. A tutti un grazie riconoscente e un abbraccio affettuoso». L’operazione durerà quattro ore: e per un’ora il cuore sarà fermo, con circolazione extracorporea. Con ogni probabilità l’ex premier sarà risvegliato tra stanotte e domani mattina (Ravizza, Cds).
Zanon Dario Zanon, 33 anni, leggenda degli sport estremi e soprattutto del base jumping, è morto schiantandosi con la tuta alare, a 200 chilometri all’ora, sul Monte Bianco. Il suo ultimo volo con la tuta alare risale mercoledì. Erano circa le 11 e 30. Sole nascosto dalle nubi, mentre dalla valle cominciava a salire una fastidiosa nebbia. «Condizioni meteo non buone» per la Gendarmerie di Chamonix che indaga sull’incidente. Ma Dario, centinaia di lanci in tutta Europa, si è tuffato lo stesso. «One, two, three, base, jump» , ha gridato prima del passo in avanti. Poi giù a capofitto con la « wingsuit », l’indumento che trasforma le braccia in ali che permettono di salire o scendere di quota. Dopo lo slalom tra rocce e conifere dai 3.800 metri dell’Aiguille du Midi, sul versante francese del massiccio del Monte Bianco, lo schianto mortale. Dalla visione della «Gopro», la telecamera montata su una speciale imbracatura, potrebbero venire elementi utili a capire cosa sia accaduto in quella picchiata di un paio di minuti. Il gps che Zanon portava con sé ha segnalato l’atterraggio avvenuto. Senza però lanciare alcun allarme. Solo ipotesi, poi: una ventata improvvisa. La foschia che riduce la visibilità. La traiettoria di volo senza controllo. Gli spuntoni delle rocce vicinissimi. Infine lo schianto, senza la possibilità di aprire il paracadute che consente l’atterraggio in tutta sicurezza a fine balzo. A preoccuparsi per primi sono stati i familiari, senza notizie da mercoledì. Le ricerche sono scattate sabato e il corpo di Dario è stato trovato domenica dalla Gendarmerie (Fulloni, Cds).
Parolisi La condanna di Salvatore Parolisi — già alleggerita in Appello da 30 a 20 anni per il non riconoscimento della aggravante della crudeltà nelle 35 coltellate inferte alla moglie Melania Rea — non deve avere ulteriori sconti per le attenuanti generiche. La Cassazione respinge il ricorso dei difensori dell’omicida e mette la parola fine alla vicenda giudiziaria cominciata con il ritrovamento del cadavere della 28enne nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto (Teramo) il 20 aprile 2011 dopo due giorni in cui non si avevano più sue notizie. Gli avvocati del caporal maggiore dell’esercito, Valter Biscotti e Nicodemo Gentile, non la pensano così: «Rimane un processo aperto, con tante ombre e incertezze non dissipate dalle sentenze. È quindi inevitabile un ricorso alla Corte europea di Strasburgo». Parolisi, oggi rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, si è sempre detto innocente. In primo grado arriva la condanna all’ergastolo, ridotta poi a 30 anni dalla Corte d’assise d’Appello dell’Aquila. Un primo ricorso in Cassazione fa cadere la contestazione della crudeltà. «La mera reiterazione dei colpi inferti non può determinare la sussistenza dell’aggravante», scrivono i supremi giudici. Si tratta di «un delitto d’impeto» compiuto con «parossistico furore», per il quale «non esiste un limite numerico di colpi oltre il quale l’omicidio può dirsi crudele». I colpi, molti alla schiena, «sono portati in rapida sequenza e ravvicinati, nessuna delle lesioni di per sé mortale». Rimandati gli atti alla corte d’assise d’Appello la pena viene riformulata in 20 anni, mantenendo l’accusa di vilipendio al cadavere. Ieri l’ultima parola sul nuovo ricorso: la giovane età e la fedina penale pulita non sono elementi tali da accorciare la condanna inflitta all’assassino (Fiano, Cds)
LinkedIn Per rilevare LinkedIn, il social network dedicato al mondo del lavoro fondato nel 2002 da Reid Hoffman nel soggiorno di casa sua, Microsoft ha sborsato 26,2 miliardi di dollari. L’acquisizione è stata annunciata ieri (De Cesare, Cds).
(a cura di Roberta Mercuri)