Corriere della Sera, 14 giugno 2016
Ancora sul Mein Kampf in allegato al Giornale
Carlo Rovelli per il Corriere della Sera
Il Giornale propone in edicola copie del libro di Hitler, Mein Kampf. Ci sono ragioni per essere offesi o disgustati da questa scelta, e Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale, lo dico apertamente, non è persona che mi piace. Eppure mi sono trovato d’accordo con lui quando, forse un po’ goffamente, ha provato a difendere la sua provocazione dicendo che per combattere un male bisogna conoscerlo. Ho letto Mein Kampf qualche tempo fa, e effettivamente mi ha insegnato delle cose: cose che non mi aspettavo. Provo a riassumerle.
Il nazismo è stato un feroce scatenarsi di aggressività. Dalla notte dei lunghi coltelli alla disperata difesa di Berlino, ha cavalcato la violenza estrema. La giustificazione ideologica immediata per la brutalità e la violenza era la superiorità della razza e della civiltà germanica, l’esaltazione della forza, la lettura del mondo in termini di scontro invece che di collaborazione, il disprezzo per chiunque fosse debole.
Questo pensavo, prima di leggere Mein Kampf. Il libro di Hitler è stato una sorpresa perché mostra cosa c’è alla sorgente di tutto questo: la paura. Per me è stata una specie di rivelazione, che mi ha d’un tratto fatto comprendere qualcosa della mentalità della destra, per me da sempre difficile da cogliere. Una sorgente centrale delle emozioni che danno forza alla destra, e all’estrema destra sopratutto, non è il sentimento di essere forti: è la paura di essere deboli. In Mein Kampf, questa paura, questo senso di inferiorità, questo senso del pericolo incombente, sono espliciti. Il motivo per cui bisogna dominare gli altri è il terrore che altrimenti ne saremo dominati. Il motivo per cui preferiamo combattere che collaborare è che siamo spaventati dalla forza degli altri. Il motivo per cui bisogna chiudersi in un’identità, un gruppo, un Volk, è per costruire una banda più forte delle altre bande ed esserne protetti in un mondo di lupi. Hitler dipinge un mondo selvaggio in cui il nemico è ovunque, il pericolo è ovunque, e l’unica disperata speranza per non soccombere è raggrupparsi in un gruppo e prevalere.
Il risultato di questa paura è stata la devastazione dell’Europa, e una guerra con un bilancio totale di 70 milioni di morti. Cosa ci insegna questo? Penso che quello che ci insegna è che ciò da cui bisogna difendersi per evitare le catastrofi non sono gli altri: sono le nostre paure degli altri. Sono queste che sono devastanti.
È la paura reciproca che rende gli altri disumani e scatena l’inferno. La Germania umiliata e offesa dall’esito della prima guerra mondiale, spaventata dalla forza della Francia e della Russia, è stata una Germania che si è autodistrutta; la Germania che, imparata la lezione sulla sua pelle, si è ricostruita come centro di collaborazione e di resistenza alla guerra è una Germania che è fiorita. A me questo insegnamento suona attuale.
Forse ora nel mondo la paura reciproca sta aumentando, non lo so, ma a me sembra che noi siamo i primi ad alimentarla.
Chi si sente debole ha paura, diffida degli altri, difende se stesso e si arrocca nel suo gruppo, nella sua pretesa identità. Chi è forte non ha paura, non si mette in conflitto, collabora, contribuisce a costruire un mondo migliore anche per gli altri. Pochi libri svelano questa intima logica della violenza come Mein Kampf.
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Donatella Di Cesare per il Corriere della Sera
H itler non si addice alle edicole. La scelta di «regalare» Mein Kampf come allegato deve essere condannata con grande fermezza da una società civile. Quali che siano i motivi reconditi che possono aver spinto il Giornale a diffondere il libro di Hitler, si tratta di una scelta gravissima, irragionevole e ingiustificabile.
Questo fatto – come ha dichiarato Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme – è «senza precedenti». Non stupisce che la stampa internazionale abbia dato rilievo alla notizia. Dalla Frankfurter Allgemeine a Die Welt e al Washington Post, per citare solo alcune testate, lo sconcerto è unanime. E ci si chiede come mai, nell’Italia di oggi, Hitler possa tornare a essere popolare.
Il «regalo» è giunto sabato scorso – per gli ebrei alla vigilia di Shavuot, la festa in cui si ricorda il dono della Torah, il Libro dei libri. Triste coincidenza, dunque, che nelle edicole di un Paese europeo, coinvolto nello sterminio, girasse la «Bibbia del nazismo». Né si può sorvolare su una coincidenza inquietante: solo pochi giorni fa è stata finalmente approvata la legge contro il negazionismo.
Vuoi per richiamo morboso, vuoi per banale interesse, nelle edicole l’allegato è esaurito. Questa sarebbe una operazione culturale? Distribuire il secondo volume del testo di Hitler, intitolato La mia battaglia, nella vecchia edizione Bompiani del 1937? Non è una edizione critica: non ci sono né note, né commenti. Non può farne le veci la breve e discutibile introduzione di Francesco Perfetti, il quale sembra ignorare il successo ottenuto, persino nel mondo accademico tedesco, dall’«antisemitismo della ragione» propugnato da Hitler. L’edizione critica, pubblicata in Germania nel gennaio del 2016, è costituita da due volumi di 2.000 pagine e corredata da ben 3.500 note.
Ma arriviamo al punto. I campioni dell’ultraliberalismo hanno gridato alla censura e si sono appellati alla necessità di leggere Hitler come «documento storico». Qui è bene chiarire: Mein Kampf non è un libro come un altro. Non può essere paragonato ad altri libri antisemiti che hanno propagato e propagano ancor oggi le teorie del complotto. Mein Kampf è il libro che contiene il primo progetto di sterminio planetario del popolo ebraico.
Chi lo ha letto lo sa. E sa giudicare la gravità incommensurabile di quelle pagine che preludono all’annientamento. Per Hitler gli ebrei sono gli «stranieri», che cancellano i confini – quelli geografici e quelli tra i popoli. Distruggono gli altri per dominare il mondo; la loro «vittoria» sarebbe «la ghirlanda funeraria dell’umanità», decreterebbe la fine del cosmo. Il pericolo maggiore viene indicato nella possibile fondazione di uno «Stato ebraico». Perché non ci deve essere luogo alcuno, per gli ebrei, nel mondo. Di qui l’annientamento.
Dare allora queste pagine da leggere senza una guida critica? Certo che occorre conoscere Mein Kampf. E chi responsabilmente si occupa della Shoah lo legge e lo fa leggere. Non era necessario che il Giornale degradasse la cultura italiana per avvertirci che il male si deve conoscere. Noi il male non lo dimentichiamo. Ma siamo convinti che uno studio critico, come quello che d’altronde già si compie in molte università e scuole italiane, sia la strada giusta per conoscere il passato e per guardare con più consapevolezza al futuro.
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Vittorio Sgarbi per Il Giornale
Indicare il male serve a combatterlo. E nessun libro può fare paura. I nazisti bruciavano i libri. Hitler volle a Monaco una mostra sull’arte degenerata. Ieri le due pagine de La Repubblica contro il libro in allegato con il Giornale mi hanno dato l’orribile sensazione di un atto di violenza, come le firme raccolte contro il commissario Calabresi che ne propiziarono la morte. Propongo il ritiro immediato da tutte le edicole di «Diabolik». Bisogna abbattere il male (sulla carta). L’immagine di un vecchio edicolante che tiene in mano un foglio con sopra scritto «in questa edicola non si vende il Mein Kampf», evidenziava i tratti di un uomo pronto a tutto. Naturalmente in nome del bene si è pronunciato Matteo Renzi, con atteggiamento grave e con fraterna cordialità: «Trovo squallido che un quotidiano italiano regali oggi il Mein Kampf (...) (...) di Hitler. Tutto il mio abbraccio affettuoso alla comunità ebraica». Come dopo una strage il messaggio di Laura Boldrini: «Decisione grave. La memoria merita rispetto. La mia solidarietà a tutte le famiglie vittime dell’Olocausto». Cosa vuol dire, appunto, «la memoria merita rispetto»? Che bisogna dimenticare? Che bisogna selezionare? Che è giusto ricordare alcune cose e non altre? Nel 2016 si scopre che le immagini del male, e le parole del male conseguentemente, devono essere rimosse. Perché, dunque, si produce Gomorra? Perché si fa un film sul Capo dei Capi? Per umiliarlo? E allora perché appare un eroe? Io ho sempre trovato Mein Kampf un libro comico, pubblicato perché l’azione di Hitler ne ha reso noto l’autore. Abbiamo già vissuto epoche in cui l’opera di Friedrich Nietzsche è stata censurata. Non avrei creduto che si arrivasse a farlo con un libretto scongelato dalla Storia. Suggerisco a Sallusti di provare la prossima volta con il libro di un assassino molto più grande di Hitler: il Libretto Rosso di Mao Tse-Tung. La Repubblica pubblicherà appelli e bocciature degli storici? Dunque, preso atto delle gravi responsabilità del direttore Sallusti, propongo di demonizzare il foglio reazionario che egli dirige, ritirando in edicola Mein Kampf e lasciandovi il Giornale.
Poco tempo fa hanno filmato bambini napoletani che giocavano a Gomorra: s’atteggiavano, riproducevano agguati, si minacciavano con uno slang orribile. La cosa mi è tornata in mente nel leggere le polemiche sulla diffusione del «Mein kampf» in allegato al Giornale: se il ragionamento fosse questo – e non lo è – si potrebbe aggiungere che la fiction Gomorra non contiene note esplicative di nessuno storico, viene diffusa nel mondo come immagine dell’Italia, è fatta solo per guadagnare soldi e si risolve in sgozzamenti, sepolti vivi, traditori affogati nel proprio sangue, mariti che ammazzano mogli, amanti a cui sparano nelle palle e tradimenti uno via l’altro: lo dico da soddisfatto spettatore. Se il ragionamento fosse questo – e non lo è – si potrebbe aggiungere che è più probabile, per degli scugnizzi napoletani, che la camorra gli appaia glamour perché hanno visto Gomorra piuttosto che progettino di invadere la Polonia perché hanno letto il «Mein Kampf», libraccio delirante di cento anni fa. Ma il ragionamento non è questo. C’è chi fa stragi imbracciando il Corano e il Vangelo, fonti che diventano pretesti solo per menti bacate in partenza; uno squilibrato, domani, potrebbe aprire lo stomaco di sua nonna perché ha letto Cappuccetto rosso. Questo in generale: dopodiché io, a un ragazzino, Gomorra non lo farei vedere. E neanche agli hoolingans degli Europei.
Massimo Malpica per il Giornale
Passato giusto il tempo necessario a far sedimentare le reazioni scatenate dagli interventi «istituzionali» ma sopra le righe di Matteo Renzi e di Laura Boldrini, ecco che sulla questione della distribuzione del Mein Kampf - offerto come allegato alla prima uscita della collana del Giornale sulla storia del Terzo Reich - comincia a riemergere la ragione. Al netto delle critiche legittime (e civili), ieri il Foglio del lunedì dedicava all’iniziativa editoriale (definita «squallida» dal premier) la rassegna di prima pagina. Eloquente il titolo - «L’importanza di leggere il Mein Kampf» - ispirato da un passaggio di un articolo di Riccardo Ruggeri, uscito a gennaio in occasione della prima ristampa tedesca del volume. «Il vero dramma di questo libro - scriveva Ruggeri - fu la sua non lettura (...) non fu letto dai leader occidentali dell’epoca, dalle varie cancellerie, dagli intellò non ebrei. In politica, come nel management, bisogna leggere tutto dei nemici, e pure degli amici che nemici possono diventare». Il «caso» Mein Kampf viene ripreso anche da Pierluigi Battista nella sua rubrica «Particelle elementari» sul Corriere della Sera in edicola ieri. L’editorialista del quotidiano di via Solferino prende la questione come spunto per chiedersi quante voci della «virtuosa e corale e giustificata indignazione» per la nostra iniziativa editoriale si alzeranno ora per condannare l’indulgenza occidentale verso il regime anti-israeliano di Teheran (che organizza tra l’altro un concorso per vignette sull’Olocausto, vinto da un francese), il divieto a Gaza del Diario di Anna Frank imposto a Gaza da Hamas, le serie tv ispirate ai «Protocolli dei savi anziani di Sion» in voga in tanti Paesi islamici o la raccomandazione agli ebrei francesi di non indossare la kippah. «Non succederà», conclude Battista: «La campagna elettorale finirà. Calerà il silenzio. E gli ebrei, ancora una volta, saranno lasciati soli». Anche il Secolo XIX dà spazio anche a una voce favorevole, quella di Dino Cofrancesco, professore emerito di storia delle dottrine politiche, che «dispera» di un «Paese come il nostro in cui le retoriche politiche, indipendentemente dai rispettivi valori, sono diventate una cortina fumogena che nasconde i fatti». Insomma, «apologia di reato? Non scherziamo», chiosa Cofrancesco. Fuori dal coro renzian-boldriniano pure il quotidiano online Linkiesta con un articolo del direttore, Francesco Cancellato, che si chiede se l’attacco al Giornale («Filo-atlantico, filo israeliano e pure anti-tedesco») per la distribuzione di un libro che, spesso in versioni nemmeno commentate, viene venduto da Google, Apple, Amazon «e persino (con lo sconto) in Feltrinelli», non abbia a che fare con le elezioni e con una polemica per finalità strumentali. Insomma, i politici, soprattutto quelli di sinistra, scrive Cancellato, avrebbero approfittato del caso Mein Kampf «per tirare una stilettata nel campo avverso, utile (forse) a ricompattare il fronte e a portare al voto qualche antifascista in più».
Cesare Maffi per ItaliaOggi
Una pubblicità del genere al Giornale di Alessandro Sallusti non se la sarebbero mai sognata. Hanno messo in circolazione, allegato al primo volume a pagamento di una collana dedicata al Terzo Reich (dovuta ad autori non accusabili di filo nazionalsocialismo), una riedizione del Mein Kampf di Adolfo Hitler e si sono trovati un diluvio di attacchi, critiche, insulti.

Risultato: copie esaurite nelle edicole.
Non esistono precedenti perché le prime pagine dei giornali fossero dedicate all’uscita di un volume di novant’anni prima. Non solo: c’è chi ne ha fatto il titolo portante della copertina, come l’Unità, anche perché è sceso in campo lo stesso presidente del Consiglio. La coincidenza (per nulla voluta, come ben sa chiunque abbia una minima pratica di collane giornalistiche per le edicole) con gli imminenti ballottaggi ha fatto sì che sia stata attribuita una catena di collegamenti Hitler-neonazisti-voto a destra-elezioni comunali. Insomma: poiché il Giornale è berlusconiano, poiché domenica prossima si voterà a Milano, poiché al candidato berlusconiano farebbero comodo voti provenienti dall’ultradestra, ecco che Sallusti ha pensato bene di dare una mano all’aspirante sindaco Parisi, mettendo in promozione il testo più noto dell’hitlerismo. Ci sarebbe da rimanere esterrefatti, eppure la disputa è montata proprio su questa pretesa caccia al voto.
Il Mein Kampf fu giudicato da Benito Mussolini «un mattone». Tuttavia contribuì all’ascesa del nazionalsocialismo. Soprattutto, vi si leggeva e vi si legge una concezione del mondo che il comune sentire, non solo fra i reduci dell’antifascismo, respinge come aberrante, ma che andrebbe meditata, perché Hitler espresse concetti e anche concrete proposte politiche che sconvolsero il mondo. Conoscere è sempre opportuno. Sarebbe stato opportuno anche per i politici mondiali negli anni trenta: leggendo il libro di Hitler avrebbero appreso in precedenza suoi passi, sue iniziative, suoi interventi. Chi vuol mettere all’indice quello o qualunque altro testo commette appunto l’errore di chi concepiva l’indice: è un illiberale che si oppone alla conoscenza ed è un nemico della riflessione storica. Per capire bisogna studiare: studiato anche il Mein Kampf, si capirà meglio il nazismo, con tutto quello che esso recò, persecuzioni razziali comprese, e se ne uscirà avvalorati, se ce ne fosse bisogno, nel proprio giudizio di condanna.
C’è un personaggio che ha fatto le spese di tutto l’ambaradàn di questi giorni: Francesco Perfetti, lo storico che ha curato le pagine di prefazione al volume. Pagine che nulla hanno di agiografico ma che anzi invitano a documentarsi, anche compulsando opere storiografiche primarie. «Non si deve leggere il Mein Kampf come il manifesto politico di un pazzo», spiega Perfetti a ItaliaOggi: il libro di Hitler «esprime un’ideologia, una concezione politica alternativa». Si capisce quindi perché Jean Jacques Chevallier l’abbia inserito nella sua rassegna delle Grandi opere del pensiero politico: non certo per stenderne un elogio, ma perché «seppe muovere le masse». Perfetti, studioso che reca sulle spalle opere primarie nella storiografia sul Novecento italiano, dal nazionalismo al fascismo, e cui si deve la direzione di Nuova Storia contemporanea (bimestrale che continua da un ventennio l’indimenticabile Storia contemporanea di Renzo De Felice), è stupito per il cumulo di reazioni arrivate. Fra esse rientra nella tradizione della sinistra, sprezzante verso gli studiosi che non s’intruppano nella vulgata, l’accreditarlo come «attivo militante neorevisionista»: tale la definizione del quotidiano radical chic.
In poche ore Perfetti è finito sulle prime pagine dei giornali, in apertura dei telegiornali, nei siti internet europei: che cosa prova per l’attenzione mediatica su di lui, che in un colpo solo ha superato tutta quella precedente messa insieme? «Sono rassegnato», risponde: «finirà che diventerò correntemente l’esperto di Hitler, anche se non me ne sono mai occupato». A sinistra, si può star certi, lo bolleranno come lo storico di palazzo di Hitler, lo storico filo hitleriano, e basta.