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 2016  giugno 14 Martedì calendario

Parolisi, 20 anni senza sconti. La cassazione conferma la sentenza d’appello per l’omicidio di Melania Rea

La condanna di Salvatore Parolisi – già alleggerita da 30 a 20 anni per il non riconoscimento della aggravante della crudeltà nelle 35 coltellate inferte alla moglie Melania Rea – non deve avere ulteriori sconti per le attenuanti generiche. La Cassazione respinge il ricorso dei difensori dell’omicida e mette la parola fine alla vicenda giudiziaria cominciata con il ritrovamento del cadavere della 28enne nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto (Teramo) il 20 aprile 2011 dopo due giorni in cui non si avevano più sue notizie.
Gli avvocati del caporal maggiore dell’esercito, Valter Biscotti e Nicodemo Gentile, non la pensano così: «Rimane – dicono – un processo aperto, con tante ombre e incertezze non dissipate dalle sentenze. È quindi inevitabile un ricorso alla Corte europea di Strasburgo». Parolisi, oggi rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, si è sempre detto innocente.
Melania Rea esce dalla abitazione di Folignano (Ascoli Piceno) con il marito Salvatore Parolisi e la figlia di un anno e mezzo il 18 aprile e per due giorni sparisce. Una telefonata anonima da una cabina nel centro di Teramo fa ritrovare il cadavere. Sul corpo i segni di 35 coltellate che il 19 luglio portano all’arresto del 38enne. Il delitto, diranno le indagini, avviene sotto gli occhi della bambina chiusa in auto, forse addormentata, a pochi metri di distanza. Incapace di uscire dal matrimonio che da tempo conduceva parallelamente alla relazione con una soldatessa, sua allieva, Parolisi pensava così di «liberarsi» dell’ostacolo rappresentato dalla moglie alla nuova vita.
In primo grado arriva la condanna all’ergastolo, ridotta poi a 30 anni dalla Corte d’assise d’Appello dell’Aquila. Un primo ricorso in Cassazione fa cadere la contestazione della crudeltà. «La mera reiterazione dei colpi inferti non può determinare la sussistenza dell’aggravante», scrivono i supremi giudici. Si tratta di «un delitto d’impeto» compiuto con «parossistico furore», per il quale «non esiste un limite numerico di colpi oltre il quale l’omicidio può dirsi crudele». I colpi, molti alla schiena, «sono portati in rapida sequenza e ravvicinati, nessuna delle lesioni di per sé mortale». Rimandati gli atti alla corte d’assise d’Appello la pena viene riformulata in 20 anni, mantenendo l’accusa di vilipendio al cadavere.
Ieri l’ultima parola sul nuovo ricorso: la giovane età e la fedina penale pulita non sono elementi tali da accorciare la condanna inflitta all’assassino.