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 2016  giugno 14 Martedì calendario

Il Binge Eating Disorder ovvero gente che mangia fino a scoppiare. Quando il cibo è peggio di una droga

 Tra i disturbi del comportamento alimentare è il più diffuso, ma anche il meno noto: parliamo del Binge Eating Disorder – B.E.D. le abbuffate compulsive. Una patologia da poco inserita nel DSM – il manuale diagnostico degli psichiatri americani – e che colpisce negli Usa il 2,6% della popolazione, contro l’1,7% complessivo di anoressia e bulimia. Ne parliamo con uno dei massimi esperti mondiali, Carlos Grilo dell’Università di Yale, incontrato a Verona, dove ha tenuto la lettura magistrale al convegno dell’AIDAP. «Spesso anche i sanitari non sono addestrati a riconoscere e affrontare il binge eating – esordisce Grilo – e a distinguerlo dalla bulimia: nel Binge Eating Disorder non ci sono comportamenti compensatori come il vomito o l’uso di lassativi per controllare il peso». Spesso chi ne soffre è giudicato goloso o mangione. Ma a chiunque può capitare di prendere due tartine di più al buffet, o fare il bis di dolce, per poi dirsi che non avrebbe dovuto. «Qui – sottolinea l’esperto – stiamo parlando di persone che magari cenano in compagnia e poi tornano a casa e ricominciano a mangiare, ingurgitando quantità anomale di cibo». Un malessere che ha poco a che vedere con la ghiottoneria, e molto con la perdita di controllo. I binge eaters mangiano in solitudine, provano vergogna e sensi di colpa ma quando cominciano non riescono a fermarsi, anche a costo di stare male. Per fortuna non tutti gli episodi sono così acuti: «Per il DSM 5, si può diagnosticare il binge eating se il paziente fa abbuffate di questo tipo una volta alla settimana per almeno tre mesi, accompagnate da un profondo malessere».
Il B.E.D. è piuttosto diffuso anche tra i maschi, e l’età media in cui insorge è intorno ai ventuno anni. Quando chi ne soffre prende a sopravvalutare la propria immagine corporea: «In una società come la nostra, ossessionata dalla forma fisica – specifica Grilo – tutti siamo più o meno insoddisfatti. Queste sono persone per cui il peso, la forma del corpo, è una preoccupazione costante, è quello che definisce la loro identità». È questo il vissuto di circa la metà dei binge eater, quelli che soffrono di più, che rispondono meno alle terapie e che spesso soffrono: oltre il 50% di depressione, il 40% di ansia, l’abuso di sostanze è frequente. Tanto che la perdita di controllo caratteristica del B.E.D ha portato i ricercatori a metterlo in relazione con la dipendenza: «Qualche affinità c’è – spiega Grilo – perché nel disturbo c’è una componente genetica (la presenza di familiari binge eaters è un fattore di rischio)e gli studi di imaging cerebrale mostrano delle peculiarità nel circuito della gratificazione. Stiamo cercando di capire se ci sia un’iperreattività al cibo, e non è escluso che ci siano affinità con chi soffre di dipendenza da sostanze o dal gioco». Ad essere una droga non è il cibo in sé, ma gli alimenti molto processati, ricchi di sale zucchero e grassi, così come i dolcificanti artificiali, potrebbero indurre una forma di dipendenza.