Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 14 Martedì calendario

La sterlina ha perso oltre il 12% sull’euro in un anno

  Non è un caso se in Inglese la parola “sterling” descriva sia la sterlina sia un lavoro di ottima fattura. Nei suoi quasi tredici secoli di storia, la valuta britannica è stata spesso associata a stabilità e fiducia. Quando Tony Blair pensò di abbandonare il “pound” per entrare nell’euro, il progetto fu accolto con grande freddezza dalla popolazione, contribuendo a far cambiare idea all’allora primo ministro laburista.
C’è pertanto una sottile ironia nel fatto che a soffrire le prime conseguenze di una possibile uscita del Regno Unito dall’UE sia proprio la sterlina. Il leggero vantaggio del “Leave” rilevato negli ultimi sondaggi sul referendum del 23 giugno sta facendo scendere in maniera decisa il cambio nei confronti di dollaro e euro. Gli analisti pensano questo sia solo il preludio di quello che accadrebbe nel caso di “Brexit”: “pensiamo che il tasso di cambio ponderato su base commerciale diminuirebbe del 10-15%,” ha detto Erik Nielsen, capo economista di UniCredit.
L’estate scorsa, la valuta britannica si era apprezzata fino a valere quasi un euro e quarantacinque centesimi. La ripresa dell’economia aveva infatti portato la Banca d’Inghilterra a riflettere su un possibile aumento dei tassi d’interesse, un’ipotesi che aveva spinto in alto il tasso di cambio.
Da allora, complice anche la retromarcia da parte del governatore Mark Carney, la sterlina ha perso oltre il 12% nei confronti della moneta unica. Nella sola giornata del 22 febbraio, dopo che l’ex sindaco di Londra Boris Johnson si era schierato a favore della “Brexit”, la valuta britannica si è indebolita di circa il 2%. Ieri, due sondaggi hanno dato il fronte del “Leave” avanti di 6 punti percentuali, facendo scendere il pound sotto 1,26 euro.
Nigel Farage, il leader del partito euroscettico UKIP, si è detto convinto che un deprezzamento della sterlina possa fare bene all’economia, aiutando le esportazioni. La Gran Bretagna ha il deficit esterno più alto fra le economie avanzate: nell’ultimo trimestre del 2015 questo ha raggiunto il 7% del prodotto interno lordo e un cambio più basso potrebbe in teoria essere d’aiuto per ridurlo.
L’esperienza recente dimostra però che anche una forte svalutazione possa non essere sufficiente per l’export. Durante la crisi finanziaria, la sterlina ha perso circa un quarto del suo valore, senza però riuscire a spingere le merci dai porti di Southampton e Felixstowe verso il resto del mondo.
Più probabile, invece, è che il deficit esterno del Regno Unito sia soltanto una fonte di vulnerabilità che spaventi gli investitori e porti a una vera e propria fuga di capitali. «Ci potrebbe essere una crisi nella bilancia dei pagamenti», ha scritto l’economista Lorenzo Codogno in una nota di ricerca.
Per ora, i mercati azionari e obbligazionari non hanno subito grossi scossoni. I rendimenti sui titoli di Stato britannici sono in leggera discesa, un segnale che gli investitori continuano ad avere fiducia nella capacità della Gran Bretagna di ripagare il suo debito pubblico. L’indice FTSE 100 ha perso ieri l’1,2%, ma resta ancora su valori più alti di quelli toccati nel gennaio scorso. Tuttavia, il nervosismo è destinato ad aumentare nei prossimi giorni, soprattutto se i sondaggi continueranno a dare la “Brexit” in vantaggio.
Quanto al risultato finale, i più ottimisti fanno riferimento a quanto accaduto prima del referendum per l’indipendenza della Scozia nel settembre 2014. Qualche settimana prima del voto, il fronte indipendentista sembrava aver superato quello unionista nei sondaggi, solo per essere sconfitto nelle urne: “il risultato del voto è stato molto più chiaro dei sondaggi,” ha scritto Holger Schmieding, capo economista della banca Berenberg, aggiungendo come alla fine abbia prevalso un certo pragmatismo favorevole a mantenere lo status quo.
Per il resto del mondo, però, il rischio è che un’uscita della Gran Bretagna possa trascinare al ribasso tutti i mercati, a partire dai nostri listini, in forte sofferenza in queste settimane. «Uno shock così forte potrebbe avere ripercussioni significative a livello globale, trasformando Brexit da un thriller economico a una commedia degli orrori», ha scritto Codogno.