la Repubblica , 14 giugno 2016
Al califfo non resta che puntare tutto sui lupi solitari
La rivelazione che il ventinovenne che domenica ha aperto il fuoco in una discoteca gay aveva dedicato la strage allo Stato Islamico ha suscitato una domanda ormai familiare: l’assassino ha veramente agito agli ordini dello Stato Islamico, o ha solo voluto fargli pubblicità cercando l’approvazione del gruppo riguardo a un atto di odio personale? Per i pianificatori del terrore dello Stato Islamico, la differenza è piuttosto irrilevante.
Negli ultimi due anni, influenzare aggressori lontani perché giurino fedeltà allo Stato islamico e mettano in atto omicidi di massa è diventata una parte fondamentale della propaganda del gruppo. C’è una confusione intenzionale sulla linea che divide le operazioni programmate e portate a termine dai combattenti che appartengono al gruppo terroristico e quelle messe in atto dai suoi simpatizzanti. Il responsabile della strage, Omar Mateen, ha detto a un operatore del 911 di giurare fedeltà allo Stato islamico. Nelle regole del gruppo, questo impegno è una parte centrale del protocollo Is.
Con la strage di Orlando, è la terza volta, a quanto è dato sapere, che questo giuramento di fedeltà viene proclamato negli Stati Uniti. Nel mese di dicembre, una coppia di San Bernardino, in California, uscì di casa armata con fucili d’assalto, ma prima ebbe cura di postare il proprio giuramento di fedeltà su Facebook, dove infatti la polizia lo trovò successivamente. E pochi minuti prima di aprire il fuoco su una gara di disegnatori in cui si esibivano immagini del profeta Maometto, in Texas, Elton Simpson spedì una serie di messaggi su Twitter per chiarire i propri punti di riferimento.
Questo giuramento pubblico è l’unico requisito che lo Stato Islamico impone ai seguaci che desiderino compiere atti di terrorismo in suo nome. Nel suo discorso annuale, il portavoce del gruppo terroristico, Abu Muhammad al Adnani, il mese scorso ha incitato i suoi sostenitori a compiere omicidi all’estero durante il mese sacro del Ramadan. Nessun attacco è troppo piccolo, ha detto, indicando specificamente gli Stati Uniti come bersaglio. «La più piccola azione che porterete nel cuore della loro terra ci è più cara della più grande delle nostre azioni», ha detto, «e più efficace e dannosa per loro».
Già nel settembre del 2014, Adnani aveva chiarito che chiunque può e dovrebbe svolgere atti di terrore nel nome del gruppo. «Non chiedete il permesso a nessuno», diceva. Da allora, il gruppo ha lavorato intensamente per creare un meccanismo capace di incitare al terrore in situ. Inonda Internet di propaganda cruenta, e impiega un esercito di jihadisti della tastiera per inoltrare questo messaggio mortale su Twitter, Facebook e altri social media. In questo caso, vi era una forte risonanza tra la propaganda dello Stato islamico e l’obiettivo scelto dall’assassino. Il gruppo jihadista ha pubblicizzato il suo odio contro gli omosessuali, pubblicando immagini di combattenti che uccidono persone sospettate di essere gay gettandole dall’alto di alcuni edifici. Quando la recluta viene arrestata o uccisa, le forze dell’ordine cercano di ricostruire i fatti. Ma spesso non c’è un legame diretto con il nucleo dell’organizzazione, e questo la protegge in un’epoca di stretta sorveglianza. «Penso che quello che lo Stato Islamico ha fatto è molto astuto, creando una situazione in cui una persona può portare un attacco senza alcun collegamento diretto con l’organizzazione», ha detto Charlie Winter, ricercatore associato dell’Istituto transculturale sui conflitti e la violenza della Georgia State University. «Possono giurare fedeltà ad Abu Bakr al Baghdadi prima o durante, e questo li catapulta dall’essere un jihadista autonomo a uno che può essere idolatrato come un soldato dello Stato islamico e ad essere considerato come un combattente militante ».