La Gazzetta dello Sport, 14 giugno 2016
I morti di Orlando sono esattamente 50: 49 poveretti ammazzati dall’assassino e lo stesso assassino, ucciso dalla polizia

I morti di Orlando sono esattamente 50: 49 poveretti ammazzati dall’assassino e lo stesso assassino, ucciso dalla polizia. Il commento più efficace alla tragedia di domenica notte è forse quello del giornalista americano John Oliver (divenuto virale su Internet). Prima di dar via al programma, ha mostrato la lunga fila di americani pronti a donare il sangue per i feriti del Pulse, poi ha detto: «Quella testa di cazzo di un terrorista è solo contro tutti noi». E ha aggiunto: «And now please enjoy our stupid show».
• Che mi dice della rivendicazione dell’Isis?
C’è stata una doppia rivendicazione. Domenica sera ha rivendicato l’attentato l’agenzia dell’Isis Amaq: «L’attacco che ha colpito un locale gay nella città di Orlando con oltre cento fra morti e feriti è stato compiuto da un combattente dello Stato islamico» eccetera. Poi è arrivata una rivendicazione attraverso la radio ufficiale del gruppo al Bayan. Omar è descritto come «uno dei soldati del Califfato in America». La radio al Bayan trasmette da Mosul, in Iraq, dove al Baghdadi sta subendo una serie di rovesci molto gravi. La doppia rivendicazione, facilissima da mettere insieme, significa solo: anche se ci ricaccerete nel deserto non smetteremo di tormentarvi. Altro obiettivo: tirare su il morale degli islamici che ancora hanno fede nell’Isis. Obama non crede a queste rivendicazioni e sostiene che Omar Mateen si sia radicalizzato in America, dando retta alla propaganda in rete e a qualche predicatore.
• Però è certo che questo Omar assassino era dell’Isis.
Sì, che avesse giurato fedeltà all’Isis è stato confermato dal capo della polizia John Mina: prima di agire ha chiamato la stazione locale e ha reso noto di essere un affiliato dello Stato Islamico.
• Quanta gente c’è negli Stati Uniti nelle stesse condizioni mentali di Omar Mateen?
Dovrebbero essere ottocento, secondo quello che fa sapere l’Fbi, in questo momento sepolto da una valanga di accuse. Omar Mateen aveva frequentato Moner Abusalah, altro cittadino americano, abitante pure lui a Fort Pierce come Mateen, e morto da shahid
a Idlib in Siria, alla guida di un camion-bomba. Prima di immolarsi Abusalah era tornato a casa a far proseliti. Il Bureau sapeva che tra questi proseliti c’era Mateen. L’hanno fermato e interrogato due volte e non hanno trovato elementi per metterlo dentro. Però potevano almeno rendergli difficile l’acquisto di armi: il fucile AR 15 e la pistola sono stati comprati la settimana scorsa. La Nra, la potente lobby delle armi, la scorsa settimana ha fatto una campagna per evitare che alle persone incluse nella lista no-fly del governo sia vietato l’acquisto delle armi. «Abbiamo una lista nera sui terroristi e una lista no-fly, ma che qualcuno su quelle liste possa comunque acquistare un’arma, è il più alto livello di follia», ha detto alla Cnn Bill Bratton, capo della polizia di New York.
• Che altro s’è saputo di Mateen?
È nato 29 anni fa a New York, dove si trovava in un primo momento la sua famiglia di profughi afgani. S’è poi trasferito con i suoi a Fort Pierce, in Florida, e in quanto guardia giurata aveva il porto d’armi, e andava regolarmente a sparare al poligono. Sorvegliava i palazzi federali! Nel 2009 ha sposato una ragazza uzbeka, di nome Sitora Yusufiy, da cui ha divorziato nel 2011, soprattutto per l’intervento dei genitori di lei. Lui la picchiava anche per questioni da poco. Adesso aveva un’altra moglie da cui è nato un figlio. Lo ha raccontato l’imam di Fort Pierce, Syed Shafeeq Rahman, che ha detto di aver visto il bambino in moschea (la stessa frequentata da Abusalah). Omar si faceva vedere tre, quattro volte a settimana. Rahman: «Finita la preghiera se ne andava. Non socializzava con nessuno. Però non m’era sembrato un violento». Aveva visitato l’Arabia due volte, nel 2011 e nel 2012, ma l’Fbi lo ha messo (inutilmente) sotto la lente solo nel 2013. Anche il padre sostiene che non era un violento. «Non so perché l’abbia fatto. Non ho mai capito che aveva l’odio nel cuore. L’ho visto il giorno prima della strage, non c’era il male nei suoi occhi. Se avessi saputo le sue intenzioni, lo avrei fermato. Mio figlio era un bravo ragazzo, con una moglie e un bambino». Anche questo padre, però, è dubbio: sulla sua pagina Facebook, a suo tempo, ha esaltato i talebani. E dopo la strage ha scritto: «La punizione per i gay spetta a Dio, non è una questione che dovrebbero affrontare gli esseri umani». Concetti che introducono l’altro elemento, cioè l’odio islamico per gli omosessuali. Il Califfo li fa ammazzare con una cerimonia impressionante (ci sono i filmati di Raqqa): il boia porta la sua vittima in cima a una torre, la abbraccia e la bacia, poi la spinge di sotto. Il Califfo sostiene che non è una punizione, ma una purificazione. Per questa via, l’omosessuale si monderebbe dei suoi peccati e si presenterebbe ad Allah puro.
• Quel poveretto che scriveva dal bagno alla mamma è vivo o è morto?
Eddie Justice, 30 anni. S’era rifugiato nel bagno delle donne. È morto. In rete c’è anche il video di Amanda Alvear che in diretta su Snapchat s’era messa a filmare quelli che ballavano. A un tratto di sentono delle esplosioni e il video si interrompre. Anche Amanda è morta. Aveva 25 anni.