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 2016  giugno 13 Lunedì calendario

Balbi, Fermi e i cialtroni della parascienza

Il premio Nobel per la Fisica Enrico Fermi nel 1950, mentre pranza alla mensa del laboratorio di Los Alamos, New Mexico, che d’un tratto alza gli occhi dal piatto e chiede: “Dove sono tutti quanti?”
Che Fermi si riferisse agli alieni e non ai commensali assenti lo crede, al di là della leggenda e con prove documentate, Amedeo Balbi, astrofisico e docente di astrobiologia, che da questa immagine formidabile prende il titolo per il suo Dove sono tutti quanti? Un viaggio tra stelle e pianeti (Rizzoli). Siamo all’incrocio tra filosofia e scienza, nel cuore della domanda metà candida metà patetica che ci facciamo dall’infanzia, e cioè se c’è qualcun altro nell’Universo o siamo destinati alla solitudine più aspra e assoluta.
Balbi è uno scienziato e un narratore e dalle sue parti ci si sente al sicuro, in un’epoca che ha rinnegato l’Illuminismo ed è popolata di cialtroni della parascienza, marchettari della preghiera, guru della para-psicologia e dei self-help da supermercato. Sotto attacco dell’irrazionale, lo studio e l’approfondimento non sono molto popolari nemmeno nelle logiche politiche, dove spira un vento anti-“professoroni” e la ricerca soffre dei tagli imposti dalle regole del mercato.
Ma lo storytelling può non essere solo marketing applicato al consenso politico, arma per intorpidire le menti, ma strumento di conoscenza e piacere, come lo erano le sublimi cronache dall’universo che Piero Angela tesseva negli anni d’oro della Tv di Stato (e non a caso Angela compare nel libro di Balbi, che lo incontra nei camerini di uno studio televisivo e lo ringrazia per avergli inoculato da piccolo la voglia di fare lo scienziato). Se finora la fantascienza è stata il più fortunato travaso dal mondo gelido della scienza a quello bollente della narrativa, un miscuglio potentissimo che ha fornito metafore al mondo e animato speranze e terrori, oggi pare di assistere alla nascita di una nuova specie di racconto, non più solo divulgazione scientifica, ma narrazione intelligente e lirica. Un’onda di limpida prosa scientifica anche a partire dal delizioso Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi) di Carlo Rovelli, che attraverso teoria della relatività, fisica quantistica e studio sui buchi neri si chiede: “Se il mondo è un pullulare di effimeri quanti di spazio e di materia, un immenso gioco a incastri di spazio e particelle elementari, noi cosa siamo?”.
In quel “noi cosa siamo” risiede la ricerca di nuove forme di racconto capaci di offrirci squarci di verità e grazia (una bella conferma ne è L’infinito tra parentesi. Storia sentimentale della scienza da Omero a Borges di Marco Malvaldi, Rizzoli). La domanda (o paradosso) di Fermi è allora più uno scrupolo procedurale che una invocazione: “Come l’umanità”, scrive Balbi, “spostandosi a piedi o con imbarcazioni di fortuna, è riuscita a colonizzare ogni terra emersa del nostro pianeta nel giro di qualche decina di migliaia di anni, così gli ipotetici esseri alieni dovrebbero da tempo essere padroni di tutta la galassia”. E dunque: “Dove sono tutti?”. Nell’invisibilità degli alieni è racchiuso l’infinito delle nostre congetture e dunque del nostro immaginario (lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke risolse così: “Esistono due possibilità: siamo soli nell’universo, oppure no. Entrambe le alternative sono terrificanti”). Se per la scienza solo una è vera, per il mito valgono entrambe. Dice Rovelli: “L’antilope cacciata all’alba non è lontana dal dio antilope dei racconti della sera. Il confine è labile. I miti si nutrono di scienza e la scienza si nutre di miti. Ma il valore conoscitivo del sapere resta. Se troviamo l’antilope possiamo mangiare”. In fondo, la gravità non è solo ciò che ci tiene ancorati alla terra, ma la forza che ci impedisce di precipitare nel nulla.