CorrierEconomia, 13 giugno 2016
Streaming digitale, così Aol vuole conquistare mezzo mondo
«Saremo la prima Internet company al mondo ad avere uno studio di produzione di video sulla strada, aperto al pubblico: così connettiamo il mondo digitale alle persone reali». Lo dice soddisfatto Tim Armstrong, l’amministratore delegato di Aol, a proposito della nuova sede di Build, la controllata che crea e distribuisce in streaming programmi dal vivo, come interviste con celebrity. Il nuovo studio sarà inaugurato quest’autunno su Broadway all’incrocio con la quarta strada, vicino al quartier generale newyorkese di Aol. Dove Armstrong ha accettato di fare con Corriere Economia il punto del suo primo anno all’interno di Verizon, la telecom americana che nel maggio 2015 comprò Aol per 4,4 miliardi. Verizon è la più grande rete di telefonia fissa e mobile negli Usa, con un servizio di connessione TV e Internet ad alta velocità via fibre ottiche (Fios). Il senso del suo ingresso nel mercato dei media è seguito con grande attenzione anche dalle telecom e Internet company europee.
Come potrà interagire il pubblico con il nuovo studio Build?
«Lo studio aperto farà capire che cosa intendiamo quando diciamo di essere una azienda senza muri. La gente potrà partecipare ai programmi in sala, facendo domande agli intervistati. Chi crea contenuti potrà venire a mostrare il proprio talento. E ospiteremo anche iniziative con i giovani e le startup. Dopo le dirette, i video registrati saranno poi distribuiti, come adesso, sulle varie piattaforme di Aol e sui social network come Facebook».
Pr ima che Aol fosse comprata da Verizon si parlava di una sua fusione con Yahoo!, su cui ora la stessa Verizon ha lanciato un’offerta di acquisto: è contento se l’operazione andrà in porto?
«Aol ha degli obbiettivi molto chiari da raggiungere entro il 2020: 2 miliardi di consumatori nostri utenti nel mondo; 10 milioni di creatori di contenuti nostri affiliati; 10 miliardi di dollari di fatturato. Per ottenere questi risultati lavoreremo con tutti i possibili partner, anche con Yahoo!, ma non siamo noi a decidere se Verizon la compra. Personalmente ho ottimi rapporti con i loro manager, a partire da Marissa Mayer, con la quale ho lavorato per quasi dieci anni a Google».
Come pensate di conquistare 2 miliardi di utenti?
«Puntando sul prossimo livello della globalizzazione digitale. Oggi i 20 brand di Aol hanno solo il 30% circa degli utenti fuori dagli Usa, nell’Europa occidentale, in Giappone, Australia e, da poco, in Sud America. Quella quota deve crescere oltre il 50%. Per arrivarci stiamo investendo molto sui video realizzati ad hoc per gli apparecchi mobili, il format oggi più attraente per il pubblico».
Che cosa significa far parte di Verizon per la vostra strategia?
«Ci aiuta sia nella distribuzione dei contenuti sia nell’acquisizione dei dati – nel rispetto della privacy – su come gli utenti consumano i contenuti. I dati sono fondamentali per personalizzare l’offerta, anche quella pubblicitaria. Dall’altra parte Aol serve a Verizon per smettere di essere solo una conduttura stupida (l’infrastruttura su cui poi le Internet company fanno i soldi, ndr ) e diventare invece un servizio ad alto valore aggiunto».
Per espandervi globalmente state cercando alleanze con telecom anche fuori dagli Stati Uniti?
«Si, stiamo parlando con vari operatori internazionali di telefonia mobile, anche in Europa, ma per ora non posso far nomi. Tutti guardano a noi come modello per il futuro del mercato, che vedrà sempre di più la convergenza fra creazione di contenuti e loro distribuzione mobile. Un esempio delle alleanze possibili in tutti i campi è stato l’accordo con alcune leghe europee di calcio per far vedere le partite in diretta su Go90, la app di Verizon che trasmette video in streaming su smartphone e tablet, in concorrenza anche con Netflix».
Da Netflix a YouTube e oltre, l’offerta di video online è enorme: come fate a catturare l’attenzione del pubblico?
«Io credo nel paradosso della scelta: quando sugli scaffali di un supermercato c’è un numero infinito di dentifrici, le loro vendite calano perché la gente si sente sopraffatta. Nello spazio dei media succede qualcosa di simile: più cresce il volume dei contenuti, più sono importanti i brand».
In che senso?
«La gente, per non sentirsi persa, si rivolge ai marchi di cui si fida perché garantiscono la qualità. I contenuti vincenti sono quelli che offrono grandi esperienze da condividere. Non è un caso che i social network più popolari come Facebook e Snapchat cerchino di avere brand riconoscibili e affermati sulle loro piattaforme. Snapchat per esempio ha appena stretto accordi con le leghe Nba (basket) e Nfl (football)».
Qualche mese fa era corsa la voce che Aol avrebbe cambiato nome e logo per adeguare la sua immagine alla sua nuova vocazione: cambierete?
«Ci stiamo ancora pensando e lo decideremo entro quest’anno. Il marchio Aol ha significato cose diverse in tutti questi anni. Negli Anni Novanta era conosciuto anche fuori dall’America come servizio di connessione a Internet via telefono. Poi nel 2001 si è fuso con Time Warner. È tornato indipendente nel 2009, quando ne ho assunto io la guida. Da allora siamo riusciti rilanciare la società, facendo crescere di nuovo il fatturato e i profitti, fino ad essere comprati da Verizon. Ora Aol è diventata una holding company di marchi conosciuti in molti Paesi fuori dagli Usa, come l’Huffington Post e Techcrunch».
Che piani avete per l’Italia?
«Il mercato italiano ha 2,5 miliardi di dollari di pubblicità digitale e per noi è molto interessante. Siamo presenti con l’ Huffington Post e con la piattaforma Millennial media per la pubblicità su apparecchi mobili; e abbiamo assorbito la squadra locale di Microsoft che lavorava con noi in questo campo. Crediamo che il vostro sia un Paese ricco di opportunità».