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 2016  giugno 13 Lunedì calendario

Anche la Fed ha paura di Brexit


Ora che anche Janet Yellen lo ha detto apertamente, il referendum sull’appartenenza del Regno Unito nell’Unione europea, o Brexit, ha assunto un altro significato per la Federal Reserve. Può essere la giustificazione per non alzare il tasso d’interesse principale questa settimana. Ma la realtà è differente. Sotto il profilo occupazionale non ci sono ancora le condizioni per un rialzo senza rischi. E i mercati lo hanno compreso.
Tutti fermi«Il voto in Gran Bretagna può impattare sui tassi d’interesse statunitensi». È bastata una frase per far capire che, almeno in giugno, gli investitori non devono attendere alcuna nuova mossa di politica monetaria da parte della Federal Reserve. E dato che la riunione del braccio decisionale della Fed, il Federal open market committee ( Fomc ), si terrà proprio una settimana prima del referendum, «è meglio usare un atteggiamento cautelativo, specie alla luce degli eventi internazionali, che possono sempre rappresentare una variabile significativa per il dollaro e per i titoli di Stato», come spiega un economista del board dell’istituzione americana. Traduzione: data l’incertezza sull’esito finale e data l’incognita sul potenziale impatto della Brexit sull’animo degli agenti economici e finanziari, la soluzione più adeguata è quella di attesa. Tuttavia, c’è di più.
L’impressione che circola in ambienti governativi a Washington è che quello della Fed sia un mero stratagemma per prendere tempo dal momento che il mercato del lavoro non è ancora arrivato a quella stabilità relativa a cui tengono i tre economisti più rilevanti della stessa Fed, cioè la Yellen, Stanley Fischer e William Dudley.
«Ancora più che con Ben Bernanke, la Fed di Yellen è dipendente dai dati. Qualcuno dice che ne sono ossessionati, forse non a torto», spiega sorridendo uno degli strategist di Bank of America-Merrill Lynch. Ed è vero. L’ultimo dato di maggio relativo alla creazione di posti di lavoro – 30 mila contro un’aspettativa di 165 mila – non è passato inosservato agli economisti della Fed. Troppo poco per mettersi al riparo da eventuali effetti collaterali sul versante occupazionale.
Sia la Yellen sia Fischer stanno pensando di rimarcare, durante la riunione del Fomc, che le disomogeneità sul fronte lavoro sono ancora troppo elevate per garantire il proseguimento dell’ exit strategy. Non è un caso che sia la stessa posizione di Jerome Powell, influente membro dei board dei governatori, considerato uno dei più lungimiranti economisti della Fed, nonché uno dei più ascoltati dalla Yellen. A fine maggio fu propri Powell a prendersi l’onere di andare di fronte alla stampa e spiegare il modus operandi della Fed nei prossimi mesi.
«La scarsa crescita della produttività è un rischio per gli Stati Uniti. Bisognerà pertanto avere molta cautela nella lettura dei dati prima di pensare a un nuovo rialzo», sottolineò Powell.
Fondamentale, secondo Powell, sarà il dato del Pil nel secondo trimestre. La prima stima del Bureau of economic analysis (Bea) uscirà il 29 luglio, ma secondo il modello di stima in tempo reale della Fed di Atlanta, GdpNow, il Pil americano è cresciuto del 2,5% nel secondo trimestre. Meglio quindi della media degli investitori istituzionali, che vede un’espansione di 2,4 punti percentuali.
Orizzonte fine annoAlla luce di questo, in molti credono possibile una mossa durante il trimestre in corso. Come fa notare Patrice Gautry, capoeconomista di Union Bancaire Privée, «sembra altamente probabile che a luglio i dati del mercato del lavoro relativi al mese di giugno mostreranno una ripresa e che i nuovi posti di lavoro potrebbero ritornare ad oscillare in un range tra i 100 e i 150 mila». Se così fosse, come anche ritiene la maggior parte degli operatori finanziari, continuerebbe la normalizzazione. «In tale contesto, la Fed potrebbe rialzare i tassi a luglio o a settembre», conclude Gautry. Nei fatti, gli investitori credono più nel rialzo a settembre che in quello di luglio, secondo l’osservatorio della Chicago mercantile exchange (Cme). Ma non è così scontato.
Sebbene secondo gran parte degli attori della Fed non esista un concreto pericolo recessione negli Usa, non bisogna abbassare la guardia. Sarà quindi cruciale, per comprendere quando ci sarà il secondo rialzo della Fed, attendere i primi dati del trimestre appena iniziato. Se arriveranno indicazioni positive dall’estate, allora ci sarà il margine per proseguire con il ritorno alla normalità. Come ha fatto notare però Morgan Stanley giovedì scorso, «le condizioni necessarie (in campo occupazionale, ndr ) per supportare un incremento dei tassi in estate stanno svanendo». L’appuntamento quindi potrebbe essere a inizio del quarto trimestre. Sempre che i dati lo consentano.