la Repubblica, 13 giugno 2016
Rosalina Neri, la più bella di tutte le Marilyn, racconta a teatro le «memorie false di una vita vera». Dal tacchino di Strehler agli uomini che le donne le volevano belle ma stupide
Marilyn monroe, quella vera, americana, che oggi avrebbe 90 anni, tre mariti, nessun figlio, rimpianta per sempre, è morta a 36 anni nella leggenda: suicidio, assassinio, eccesso di barbiturici. La Marilyn inglese, Diana Dors, che ne avrebbe 85, tre figli, tre mariti, l’ultimo suicida dopo la di lei morte a 52 anni: tumore ovarico. La Marilyn italiana, anzi milanese o meglio di Arcisate, Rosalina Neri, una figlia, Cocò, e due nipoti, Carolina e Alessia, nessun marito; in realtà la più bella di tutte le Marilyn, anche se un po’ meno della sua amica d’adolescenza Franca Rame, con cui frequentava il collegio Sant’Ambrogio di Varese e andava in vacanza a Viserbella.
Adesso la Rosalina sta scivolando lieve lungo i suoi 80 anni, e della favolosa giovinezza ha conservato lo sguardo innocente e smarrito, l’autoironia esemplare, l’antica, fresca milanesità del linguaggio e dei modi. E il 22 giugno torna sul palcoscenico (dopo un’anteprima a Quarrata, Pistoia) al Teatro Parenti di Milano con Je me fut: memorie false di una vita vera, scritto da lei e da Cristina Pezzoli, anche regista dello spettacolo: io ero, ma anche, me ne fotto, una serie di ricordi sfalsati, raccontati e cantati, quel che resta di una vita nel cuore di chi l’ha vissuta. Il palcoscenico è quasi vuoto, c’è un pianista jazz, Nicola Nastos (direzione musicale di Alessandro Nidi), poi c’è lei Rosalina che non è Rosalina, ma una vecchia barbona seduta sola su una panchina, con un suo sacchetto del Carrefour, da cui estrae i giochi di prestigio che sono i suoi fragili ricordi, raccontati in milanese, italiano, francese e inglese a una persona immaginaria, un tale ragionier Dior, o meglio Dio-r che dovrebbe trovarle un posto nell’Archivio del Mondo. Del Dior vero, che la vestiva nel fulgore degli anni, porta in scena un vecchissimo cappottone rosso, che con tanti altri abiti di alta moda ormai immettibili conserva come reliquie della sua vita d’oro, quella dei magnati di mezza età e degli intellettuali squattrinati, tutti ai suoi piedi, di cui le sono rimasti una villa a Cap d’Antibes che cerca di affittare, una bella collana, unico gioiello che ha dopo il furto di tutti i suoi storici gioielli, appartenuti pare ad Edda Ciano: la Ferrari rossa l’ha venduta secoli fa, non c’entrava più con la sua nuova vita; e adesso, sul palcoscenico ne trascina una giocattolo attaccata a una cordicella come un reperto di un passato troppo lontano.
L’appartamentino milanese dove vive, in una trasversale di via Washington, lo ha saggiamente acquistato, da brava lombarda, quando Marilyn cominciò a svanire con tutti i suoi agi e il suo splendore, consentendo finalmente la rinascita della Rosalina vera, che abbandonava i capelli ossigenati e il celebre seno esposto nella corona di candide volpi. Da allora la sua tavola è sempre imbandita per gli amici di sempre, Carlo Fontana, ex sovraintendente alla Scala con la moglie, il regista Carlo Crivelli che alla Scala l’ha diretta nel ’76 in uno spettacolo di canzoni di Boito e altri e alla Piccola Scala (che da tempo non c’è più) nel ’77 in The beggar’s Opera di Britten: e dove nell’82 Peter Ustinov l’ha diretta in The Flood di Stravisnky. C’è sempre molta allegria attorno a lei quando, magrolina e castamente vestita di nero, dalla cucinetta arriva nella sala da pranzo con i suoi celebri gigot d’agneau e paté de fois gras. «Strehler amava il mio tacchino, l’ultimo l’ha mangiato a Lugano la sera in cui poi è morto. Paolo Rossi scherzando tra le lacrime, di fronte alla bara al Piccolo Teatro, ha detto, “Neri, te le velenà col tuo tacchino”». Strehler l’aveva voluta come protagonista di La grande Magia di Eduardo De Filippo: «Prima della prima prova ero andata a pregare nella chiesa di via Broletto perché avevo paura. E lui, poi, “arriva la santa, cià cià, va su a far la troia che quello è il tuo ruolo, Zaira”». Si sa che il grande amore di Rosalina- Marilyn ventenne fu Jack Hylton, direttore d’orchestra inglese, impresario, produttore di programmi televisivi e film, pezzo grosso della Decca. Ricorda la barbona: «Non è facile stare con un uomo che ha 35 anni più di te, che un giorno a Cap d’Antibes ti dice, “Io vado a Londra e tu cosa fai?”. “Vado a trovare la mia mamma ad Arcisate”. È andato a Londra e ne ha sposata un’altra: me l’ha telefonato il segretario, e io sono rimasta sola come un cane». Le canzoni sono degli anni in cui erano molto belle e intelligenti, indimenticabili, di Jannacci, di Carpi con Fo e con Strehler, di Gino Negri e altri. Ce ne è una molto attuale, Ti butto via, di Lerici e Carpi: “Lui parla con i pugni/soltanto questo sa/con quella bestia d’uomo/ basta basta per carità/non voglio più non voglio più…”. Era anche un’altra Milano, almeno per Rosalina: «Prima era più vera, adesso “è la brutta città che è la mia” per parafrasare il brano di Fo e Carpi. Ma poi era davvero un altro vecchio mondo: in televisione si andava solo in diretta, niente di registrato, se sbagliavi, la figura di merda era per sempre. Andavo a mangiare al Bagutta e c’era una sala solo per gli artisti, il Dino Buzzati, Montanelli, il pittore Carrà, il Guttuso, De Chirico e il padre del Fontana sovraintendente. Erano sempre molto allegri, erano grandi ma semplici, non so se adesso è lo stesso».
Sul palcoscenico, la cartomante dice a Rosalina che assomigliare a Marilyn era stata la sua fortuna e la sua rovina: costretta come Marilyn che era molto intelligente, a sembrare un’oca. «Erano così gli uomini allora (adesso non si sa), le donne le volevano belle ma stupide per manovrarle come volevano. Se erano intelligenti, le consideravano brutte. Circa quindici anni fa ho deciso di rimanere single e la mia solitudine è una cosa meravigliosa. Gli uomini mi hanno fatto tanto soffrire e non ne valeva la pena».