Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 11 Sabato calendario

Quando si giocava a pallone senza paure

La prima di ieri è andata, per fortuna. Ora incrociamo le dita per quella di stasera, partita delicatissima: perché chi vince passa già il turno? No, perché Inghilterra e Russia sono obiettivi ambiti dal terrorismo islamico e Marsiglia, dove giocano le due nazionali, è la città più musulmana di Francia. Cosa ci sta accadendo? Non era questo lo stato d’animo col quale affrontavamo le notti magiche d’inizio estate. 
Ogni due anni, quando c’era l’Europeo e il Mundial, ne aspettavamo l’inizio con eccitazione. Calendario delle partite a portata di mano, si annullavano cene al ristorante, cinema, convegni e dibattiti per gustare con fraterna e solidale tensione la partita in casa con amici: birra, pizza, tifo, divani esauriti. Era il calcio delle nazionali, dalle apparizioni brevi, saltuarie ma intense come la vita delle farfalle, nel quale il tribalismo del tifo da campanile diventava patriottismo; non quel pallone dopato, invernale e quotidiano dei club, dove la differenza la fa chi ha i soldi. 
L’aspettativa della magia di un’altra Italia-Germania restava intensa anche con una nazionale operaia come quella che abbiamo oggi. In quel clima di grandi speranze, nella categoria “partita imperdibile” entravano anche Romania-Albania e Islanda-Austria: gli appassionati di calcio che in queste occasioni si moltiplicavano, non perdevano un minuto di quel mese a cavallo fra giugno e luglio. 
Ora non vediamo l’ora che sia tutto finito, che il mese passi il più velocemente possibile nella speranza che non accada nulla. È la sindrome dei nostri giorni. La stessa che ci ha colpito il mese scorso quando è precipitato l’aereo dell’Egyptair, e subito ci siamo convinti dell’attentato; la stessa che a molti fa vedere un potenziale terrorista in ogni migrante che approda sulle nostre coste, rischiando la vita. Allo Stade de France si gioca dai mondiali del 1998 e da molti più anni Saint-Denis è un quartiere parigino (in realtà una sotto-prefettura) difficile, con una forte presenza d’immigrati musulmani. Ma a causa della sindrome dei nostri giorni, solo adesso il profilo sociale di Saint-Denis è diventato più importante delle partite che si giocano nel suo stadio. 
C’è qualcosa di più malato del solito se l’altra notte a Marsiglia gli hooligans inglesi – i fondatori della violenza che già praticavano dentro e fuori gli stati quando ancora le curve d’Europa erano ritrovi familiari – non si sono limitati a provocare i soliti incidenti. Ubriachi, hanno tentato di assalire un quartiere a maggioranza musulmana al grido di «Isis vieni fuori». La giustizia fai da te dei cretini, il punto più grave della nostra sindrome. 
Squadre di calcio sono comunque tornate a giocare allo Stade de France dove il 13 novembre la strage non c’è stata solo per un caso. I terroristi hanno poi fatto altrove il massacro perché il loro campo di battaglia è ovunque. Ma è evidente che il principale obiettivo sia uno stadio, il calcio, lo sport più amato, seguito e giocato al mondo. Colpisci il pubblico di una partita, colpisci il mondo intero. 
Servizi segreti e forze dell’ordine sono al lavoro, più preparati di prima (forse). Ma non c’è niente che possiamo fare contro questa follia, noi comuni tifosi. È tuttavia un niente che invece è molto: sforzarci di restare normali, cioè continuando in questo caso a pregustare con passione il mese di calcio che ci aspetta. In un certo senso anche discutere col consueto calore del dualismo Pellé-Zaza è una forma di lotta al terrorismo.