la Repubblica, 11 giugno 2016
Il confine tra calcio e guerra è piuttosto friabile
Anticipando la Brexit, un plotone di hooligans inglesi è andato in giro per Marsiglia a caccia di sporchi franco-magrebini, e non ha dovuto faticare per trovarli. La faccenda si è conclusa bene, un paio di arresti e via, ma ci ricorda che il confine tra calcio e guerra è piuttosto friabile, sempre di masse mobilitate sotto bandiere contrapposte si tratta (vedi l’ex Jugoslavia e vedi il libro di Gigi Riva, non il calciatore il giornalista, “L’ultimo rigore di Faruk”). Se poi le masse sono disoccupate o sottoccupate, con l’adrenalina della giovinezza in corpo (più birra o altri additivi), si intende su quale polveriera sociale sia scomodamente seduta l’Europa in tempi di crisi. Con qualche antidoto in più – un po’ di welfare, i risparmi dei padri, un ordine pubblico piuttosto solido – rispetto ad altre zone del mondo, ma con una complessiva assenza di scopo e di direzione che non può che ingrossare, alla lunga, l’esercito degli hooligans di ogni Paese.Così, all’ingrosso, possiamo dire che sono due le forze che si contendono questo smisurato deposito di energie inespresse, e dunque di frustrati e di incazzati. Una, come già detto, è la guerra, e già adesso c’è chi parte per la Siria e chi scimmiotta gli eserciti arruolandosi tra gli ultras. L’altra è la politica, la cui ripartenza (anche in forme nuove: e non chiamatela antipolitica) è forse l’ultima speranza che rimane. Non a noi, che abbiamo già dato e preso in abbondanza. Ai ragazzi, che ancora devono prendersi la scena. E se la prenderanno.