la Repubblica, 11 giugno 2016
Hillary ed Elizabeth, due donne alla Casa Bianca
È figlia del “Sentiero delle Lacrime”, dell’Oklahoma che vide la marcia forzata e la strage dei nativi cacciati dai cercatori d’oro bianchi, Elizabeth Warren, la donna che Hillary Clinton potrebbe scegliere per accompagnarla lungo il sentiero verso la Casa Bianca.
Se una regina sola non bastasse per vincere il poker della presidenza, il partito democratico sogna ora la coppia di donne, Hillary ed Elizabeth, sorriso mite da professoressa, temperamento politico da pitbull e tracce di sangue Cherokee.
È lei l’ultima tentazione di Hillary Clinton, la senatrice 66nne del Massachusetts, dunque quasi una ragazzina fra i settuagenari che si battono per la vittoria. Dopo mesi di apparente titubanza e di semineutralità fra Clinton e Bernie Sanders, si è schierata con la vincitrice e ha ricevuto in cambio il riconoscimento di essere definita «incredibilmente qualificata per ogni ruolo di governo». Ieri le due donne si sono incontrate a Washington ma non hanno rilasciato dichiarazioni.
Warren è il peggior incubo di Trump, che infatti l’ha subito derisa chiamandola “indiana” e “Pocahontas”: ma è la speranza di quella metà o quasi del partito che vede in questa donna dalla lingua tagliente e dalla vocazione dichiaratamente progressista, il miglior premio di consolazione possibile alla eliminazione di Sanders.
La sua storia personale e politica, la sua collocazione ideologica vicinissima a quella del senatore del Vermont, il suo carisma proprio verso quel pubblico giovane e specialmente femminile che non riesce a digerire “Nonna Hillary”, ne farebbero il perfetto complemento per l’ex segretaria di Stato. E, nel caso di un deragliamento di Hillary da parte della magistratura per il caso dell’abuso di posta elettronica, sarebbe una scelta plebiscitaria come titolare di riserva promossa alla guida del ticket democratico.
Fu nell’Oklahoma, lo stato della grande Prateria, della Grande Depressione di “Furore”, popolato a forza dalle nazioni indiane cacciate con le baionette che lei nacque, figlia di un bracciante reso presto invalido al lavoro duro da un infarto e di una donna che doveva rinunciare alle visite mediche per mancanza di soldi. Warren, che riuscì a laurearsi con una tesi in logopedia e poi a prendere una laurea in Giurisprudenza nella Rutgers University del New Jersey arrivando a una cattedra a Harvard, è tutto ciò che Hillary è: una donna preparatissima e ambiziosa. E tutto ciò che Hillary non è: una campionessa di quella sinistra che si considera orfana del partito democratico.
Le sue posizoni ideologiche, dal controllo severo della finanza e della banche, compito al quale fu chiamata da Obama e per il quale ha lavorato senza grande successo in Senato dove siede da sei anni, alla tassazione più dura del famigerato “Un per cento”, alla gratuità dell’istruzione universitaria pubblica fino alla opposizione al multilateralismo liberista di trattati come il TTIP, ricalcano in maniera quasi letterale le tesi care a Bernie. Ma soprattutto, nel suo sangue che potrebbe avere antiche fonte nella nazione Cherokee, come i suoi genitori le raccontavano da bambina, c’è quell’elemento di quieta e un po’ selvatica ferocia che ne farebbe un’avversaria tremenda per Trump.
Elizabeth non attacca, azzanna. Ora che, nel corso di un talk show televisivo ha lasciato la pretesa della neutralità e ha risposto “sì” alla domanda sulla possibile accettazione di una vice-presidenza, la senatrice ha morso la carne viva dell’avversario. Trump è “un impostore”, un “razzista”, “un imbonitore da circo”, un “falso miliardario con la pelle sottile”, un “omuncolo” (detto dall’alto dei suoi 173 centimetri d’altezza contro i 185 del Donald) e infine, giusto per sintetizzare, “una catastrofe per l’America”.
Mentre lui l’aveva già preventivamente tacciata di essere di fatto una “squaw”, una donnetta indiana, ma senza avere ancora il coraggio di usare questo epiteto offensivo, lei accumulava la più corposa e numerosa “mailing list” gli indirizzi dei sostenitori – seconda soltanto a quella, leggendaria, di Bernie Sanders. L’agenda di sostenitori e finanziatori è il Sacro Graal delle strategie elettorali, come è stata la forza dei Sanderistas. La miniera di voti e contributi.
Per molti, sarebbe stata lei la “Vera Hillary”, la donna da scegliere per guidare il partito democratico alla successione di Obama: più rappresentativa di una generazione di donne che ha saputo compiere con le propria gambe, senza le stampelle di matrimoni e di dinastie, il lungo cammino dal nulla al successo. Ma Elizabeth aveva capito che gli ingranaggi della “Clinton Machine” avrebbe alla fine stritolato chiunque, maschio o femmina, giovane o anziano, avesse cercato di fermarla.
Hillary è il coronamento del passato democratico, l’ultimo atto, forse trionfale, di un grande dramma politico cominciato 24 anni or sono con Bill. Elizabeth è l’anima del futuro dei Democratici. Se Clinton dovesse scegliere lei per lanciare l’impensabile coppia di regine fra gli almeno 50 aspiranti che sta esaminando, se sapesse vincere il timore, e la gelosia, di avere un’altra donna più amata di lei nell’ufficio accanto allo Studio Ovale, la volontà ferrea della figlia dell’Oklahoma l’avrebbe portata dal polverone della Prateria a un battito di cuore dalla Presidenza. Un lungo cammino per la bambina che non poteva andare dal pediatra perchè la madre non aveva i soldi.