Corriere della Sera, 11 giugno 2016
In vista del referendum costituzionale è necessario un chiarimento sostanziale sul nostro Paese. Il No, del tutto legittimo, lascia le cose come stanno: instabilità dei governi, frantumazione delle competenze, abuso dei poteri del governo
Il Fondo monetario internazionale ha scritto che l’Italia è indietro di venti anni. Dal 1996 al 2016 abbiamo avuto dodici governi e otto presidenti; la Germania e la Spagna ne hanno avuti sei con tre diversi capi dell’Esecutivo, la Gran Bretagna nove con quattro diversi premier. In molti campi quei Paesi sono più avanti di noi: sono stati aiutati dalla stabilità, dalla prevalenza dell’interesse generale sugli interessi particolari, da procedimenti legislativi veloci. L’instabilità dei nostri governi ha invece prodotto incertezza delle linee politiche, paralisi delle amministrazioni, assenza di scelte strategiche, costose lentezze nei rapporti con l’Ue. La frantumazione fra tutte le Regioni delle competenze per la costruzione di grandi reti ha avuto l’effetto di bloccare o frenare opere necessarie per lo sviluppo del Paese. L’incertezza sui tempi delle decisioni parlamentari ci rende poco affidabili sulla scena internazionale e ha prodotto l’abuso dei decreti legge con maxiemendamenti e fiducie.
In vista del referendum costituzionale è necessario un chiarimento sostanziale sul nostro Paese. Il No, del tutto legittimo, lascia le cose come stanno: instabilità dei governi, frantumazione delle competenze, abuso dei poteri del governo. L’Italia sarebbe condannata a ulteriori ritardi. Alcuni dei dubbi di carattere tecnico sollevati dagli avversari della riforma sono fondati e non vanno sottovalutati. Tuttavia gli aspetti tecnici possono essere corretti o con la interpretazione o con successivi interventi. La domanda principale, invece, riguarda l’impostazione politica.
Ritengo che la riforma possa farci uscire dalla palude perché costruisce una democrazia capace di decidere, non solo di rappresentare. La fiducia da parte di una sola Camera, eletta con premio di maggioranza, aiuta la stabilità. La riconduzione allo Stato delle competenze sulle grandi reti facilita la modernizzazione del Paese. La riduzione drastica del ricorso ai decreti legge e la previsione della possibilità del voto a data fissa danno certezze a chi governa, senza abusi ai danni del Parlamento. Risulta potenziato il ruolo di chi siederà a Palazzo Chigi, ma sono gli stessi poteri riconosciuti al cancelliere tedesco, al premier inglese o a quello spagnolo. In ogni caso la riforma prevede alcuni contrappesi. Al Senato è attribuito il compito di valutare l’efficacia delle politiche del governo, l’attività delle pubbliche amministrazioni e l’at-tuazione delle leggi dello Stato.
Ai cittadini è riconosciuto il diritto al referendum propositivo; possono così essere attivati movimenti di cittadini per ottenere risultati che il governo non intende riconoscere. Restano inalterate le tipiche funzioni di controllo del presidente della Repubblica, della Corte costituzionale e delle diverse magistrature. La Consulta inoltre si pronuncerà tra alcune settimane, su richiesta di parlamentari e di cittadini, sulla correttezza costituzionale dell’Italicum. Pertanto i dubbi sull’eccesso di potere che quella legge accorderebbe al vincitore rispetto alla sua rappresentatività saranno risolti sulla base delle decisioni della Corte.
Il dibattito potrebbe diventare un civile momento di confronto sul futuro del nostro Paese, perché di questo parla la riforma. È necessario sfuggire alla rissa verbale e rispettare gli avversari; soprattutto chi è maggioranza ha questo dovere.