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 2016  giugno 11 Sabato calendario

Il sessantenne di Trieste che ha strangolato la moglie e poi l’ha seppellita in una discarica

Il movente è stato scritto, in Italia, cinquantanove volte dall’inizio dell’anno: lui che non si rassegna e la uccide perché viene lasciato. Dragoslav Kostic si distingue per aver seppellito il corpo in una discarica di materiale per l’edilizia, ambiente a lui familiare considerato che fa l’impresario del mattone. O meglio, faceva, perché da ieri è in carcere e chissà quando uscirà.
Non un ragazzino, 60 anni, e neppure un killer di professione. Piuttosto un parvenu del crimine che ha seminato indizi ovunque, raccolti e messi in fila dagli investigatori triestini che ieri hanno fermato l’uomo con l’accusa di omicidio volontario nei confronti dell’ex moglie, Slavica Kostic, 38 anni, 22 meno di lui. «Ho perso la testa dopo una discussione, pensavo fosse stata con un altro», ha dichiarato ieri agli uomini di Marco Calì, della Mobile di Trieste, confessando l’omicidio. Delitto d’impeto, secondo la sua versione. Lui ha detto di averla strangolata. Ma gli inquirenti, coordinati dal pm Matteo Tripani, non gli hanno creduto. «È più probabile che sia stata accoltellata perché abbiamo trovato tracce di sangue».
È questo il tragico epilogo di una storia fra due serbi, entrambi spesso in Italia per lavoro. Lei badante a Trieste tre settimane al mese per poi far ritorno alla sua Majdanpek; lui di Kucevo con interessi in Friuli Venezia Giulia. La sera del 26 aprile Kostic si è fiondato a Trieste, ha ucciso, occultato il corpo appena oltre il confine sloveno, a Kreplje, ed è tornato subito al suo paese.
Sentito dagli inquirenti, ha inizialmente negato di essere venuto in Italia. Autogol. Kostic non sapeva che i passaggi ai caselli autostradali vengono registrati. E infatti gli investigatori hanno trovato un’uscita e un’entrata a Trieste della sua macchina, nel giro di tre ore, proprio quella sera. Altre tracce a casa di lei, immobile che Kostic avrebbe intestato a Slavica e sul quale è in corso una causa. Lui pensava di aver ripulito la scena del crimine e invece il «luminol» della Scientifica di Padova ha scovato in giro per l’appartamento il sangue della vittima, invisibile a occhio nudo. Infine la messinscena dell’incendio della macchina, evidentemente per cancellare ogni impronta. Gli inquirenti hanno recuperato le immagini, le hanno fatte analizzare da un perito e hanno concluso che è stato lui ad appiccare il fuoco cospargendo l’auto di benzina. Uno, due, tre. Dopo il fermo, messo di fronte ai forti indizi, ha sospirato e ha detto «ho perso la testa». Ha quindi portato gli inquirenti alla discarica, dove Slavica giaceva sotto un cumulo di macerie. La sua tomba.