Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 10 Venerdì calendario

Il Pd ha perso 200mila voti. Lo dice il Viminale

Sui voti del Pd in quest’ultima tornata elettorale c’è stato parecchio dibattito. Il motivo, però, non è chiaro: i numeri – quelli del ministero dell’Interno che oggi pubblichiamo in questa pagina – sono chiari: nei 24 comuni capoluogo al voto (nel 25esimo, Villacidro, c’erano solo liste civiche non attribuibili a schieramenti nazionali) il Pd perde 200 mila voti reali sulle sue liste rispetto alle precedenti comunali, solo in parte recuperati (+35 mila) dalle liste civiche a cui ha dato in franchising la gestione dei territori in questo turno amministrativo.
Il calcolo è semplice e può farla chiunque: il Partito democratico sommando i voti di Roma, Milano, Napoli a quelli di centri meno importanti come Novara, Carbonia eccetera aveva oltre 900mila voti nel 2011 mentre supera di poco i 700mila oggi. I risultati sono tutti negativi, eccetto che in tre Comuni: Varese, Rimini e Caserta (duemila voti in più in totale). Le liste civiche – escluse dal conteggio quelle palesemente di centrodestra (verdiniani, alfaniani, etc.) – a sostegno dei candidati del Pd nei 24 capoluoghi portarono 273mila voti cinque anni fa e 308 mila oggi: 35 mila in più.
Ponderate per le diverse affluenze registrate nel 2011 e 2016 – gli aventi diritto al voto sono circa 6,6 milioni di persone, la metà della platea coinvolta nel voto di domenica – il risultato percentuale all’ingrosso dice questo: le liste del Pd cinque anni fa valevano il 21% circa dei voti, cui andava aggiunto il 6% abbondante delle civiche; domenica le liste del Pd invece hanno preso il 18% dei voti nei 24 capoluoghi e le liste civiche quasi l’8%. Tradotto: giù di oltre un punto percentuale.
Nota bene: nel 2011 i democratici avevano attorno, oltre alle civiche, una coalizione fatta da partiti (tanto alla loro sinistra che al centro) che oggi sono scomparsi o non stanno più col Pd o entrambe le cose; oggi il Pd – che si pensa ancora come partito del 40% (quello delle Europee 2014) – è solo, naviga nel vuoto del rapporto con le liste territoriali, che però non sono partiti e non rispondono a logiche nazionali. Va segnalato il caso di Salerno, feudo del presidente della Campania Enzo De Luca: per la seconda volta il Pd ha rinunciato a presentare il suo simbolo alle Comunali per lasciare spazio alle liste “Progressisti”, che non sono del partito, ma dello stesso De Luca.
Curioso, poi, una volta verificati i dati, il paragone con le Politiche 2013 (i risultati li trovate nella terza colonna del grafico) utilizzato dall’Istituto Cattaneo – Fondazione bolognese con multipli rapporti con Regione Emilia Romagna, ministero e Partito democratico – per dire che in realtà il Pd aveva sì perso rispetto alle Comunali del 2011, ma aveva guadagnato un punto sul risultato del 2013, quello della “non vittoria” di Pier Luigi Bersani: il vero sconfitto, si intuiva dal report del Cattaneo era il Movimento 5 Stelle, che perdeva 4 punti rispetto alle Politiche (lo studio si basava su 18 capoluoghi in tre dei quali il M5s non era presente). È appena il caso di ricordare che sarebbe bastato usare il dato delle Europee 2014 per rovesciare il risultato tra Pd e liste di Grillo: in ogni caso si tratta di paragoni solo indicativi, visto che un voto nazionale non è comparabile con una elezione locale.
Come che sia, nelle 24 città capoluogo in cui si è votato domenica, nel 2013 (con un affluenza di 13 punti più alta) le liste del Pd avevano raccolto quasi 1 milione e 300mila voti e il 27% di quelli espressi. Come si vede, dunque, i democratici hanno perso un punto percentuale anche rispetto alle Politiche di Bersani (contando, ovviamente, le civiche).
Quanto ai 5 Stelle, si sono presentati in 18 dei 24 capoluoghi considerati (assente a Salerno, Caserta, Latina, Rimini, Ravenna e Varese) e hanno raccolto in tutto 703.855 voti, cioè più o meno quelli che hanno preso le liste del Pd in tutti e 24 i Comuni. È altrettanto vero che, se i consensi grillini aumentano di oltre tre volte rispetto al 2011, calano rispetto alle Politiche 2013 e alle Europee 2014. Le amministrative, però, sono elezioni in cui il M5s ha sempre sofferto: il problema vero è il dato a macchia di leopardo, che indica un insediamento del Movimento solo episodico e legato in qualche caso (vedi Roma, da cui ricavano il 58% dei loro voti) più a colpe altrui che a meriti loro. Quando gli si fanno notare le performance negative, i partiti (e i Movimenti) si innervosiscono, ma – come ha detto Bersani – “i voti quelli sono”.