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 2016  giugno 10 Venerdì calendario

Come avere successo in Francia. Consigli dall’altro Conte, Paolo

Per alzare le braccia al traguardo l’altro Conte, Antonio, dovrà scattare come Bartali, «quel naso triste da italiano allegro tra i francesi che s’incazzano». Nell’attesa lui, Paolo Conte, suona ancora il suo piano malinconico, senza distrarsi dall’altra passione: è un maestro di suoni e di sogni, ma pure un cacciatore di buon calcio. Di quello romantico che non si piega al divismo e alle mode del tempo: per lui il mediano ha il numero 4 e all’ala tocca sempre il 7. Ieri ha cantato a Bregenz, Austria, nuova tappa del tour con cui porta in Europa il nuovo disco Snob, un distillato di intelligenza e ironia, desiderio e passione. Oggi, invece, riaccenderà la tv perché inizia l’Europeo e stavolta la liturgia si celebra nella sua seconda casa. Tra i francesi che lo adorano più di tanti italiani e da decenni fanno le fila per applaudirlo: a Parigi colleziona onoreficenze e in questi giorni le stazioni della metropolitana sono tappezzate del suo volto per pubblicizzare il festival jazz di Juan les Pins, in Costa Azzurra. Sarà quell’accento da seduttore d’Oltralpe seminato ancora in qualche canzone, ma con la Francia è amore vero.
Conte, spieghi a noi e agli azzurri il segreto per farsi amare dalla Francia.
«Lasciamo stare l’amore, all’Europeo non è tanto il problema di essere amati dai francesi quanto quello di battere le varie squadre che incontreremo di volta in volta. Se poi capiterà di incontrare “Les Bleus”, allora dovremo prima di tutto far vedere una scuola di calcio “diversa” dalla loro. In meglio, è logico».
Ma, in fondo, siamo davvero così diversi noi e loro?
«Posso dire che li abbiamo sempre chiamati “cugini”, ma loro non hanno mai ricambiato, chissà perché...»
E ancora un tifoso? E trova ancora poesia nel calcio tra scandali e calciatori miliardari?
«Io ho avuto una simpatia per il Milan del trio Gren, Nordahl, Liedholm, un insieme di classe e intelligenza, ma non mi definisco un tifoso. Resto, però, un appassionato anche se da anni ho solo un rapporto televisivo con il gioco. Questi calciatori prenderanno pure tanti soldi, ma c’è in giro gente che gioca benissimo».
Sta portando in tour «Snob»: c’è qualche calciatore a cui associare questa parola?
«Chiariamo: io odio lo snob e adoro, invece, il dandy. Ho scelto questo titolo perché è comprensibile su tutti i mercati: fa riferimento a una delle canzoni del disco nella quale chi canta impersona il padrone di casa la cui moglie sembra essere attratta da un tipo snob di città. Ecco, lo snob è superficiale, se la tira. Invece il dandy è puro, è uno che insegue la bellezza in profondità».
E oggi chi insegue la bellezza nello sport?
«Visti i risultati, i dandy dell’anno sono i nostri nuotatori».
In tutte le sue canzoni ha citato solo in un verso un calciatore, Juan Alberto Schiaffino: c’è un contemporaneo che può ispirarla di nuovo?
«A Schiaffino ho reso omaggio in “Sudamerica”: “L’uomo che è venuto da lontano ha la genialità di uno Schiaffino...». Uno di oggi? Dico Dybala»
Le piace la Nazionale dell’altro Conte? Citando il suo Bartali, possiamo farli «incazzare» questi francesi?
«Di certo abbiamo una grande difesa, ma non dimentichiamoci che bisogna provare anche a segnare...».
Chi i suoi giocatori preferiti della Nazionale di ogni epoca?
«Faccio un 11 con un mix di epoche diverse: Buffon, Gentile, Maldini, Ancelotti, Bonucci, Picchi, Bruno Conti, Boniperti, Boninsegna, Mazzola, Riva».
E che pensa del declino del suo Milan?
«Citando Bartali: l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!»