Libero, 10 giugno 2016
L’italiano che dopo l’ictus s’è risvegliato francese
Un cinquantenne, appena risvegliato da un lungo coma e riacquistate le forze, è andato alla finestra della sua stanza nella clinica dov’era ricoverato, l’ha spalancata e ha strillato «Bonjour!», lasciando di stucco il personale sanitario e i parenti che erano presenti nel suo miracoloso ritorno alla vita, dopo un grave ictus al cervello. La cosa strana è che l’uomo, il cui nome non viene rivelato ma la cui surreale – ma clinicamente interessantissima – vicenda viene raccontata nell’ultimo numero della rivista di neurologia “Cortex”, dove per tutelarne la privacy viene chiamato JC, l’uomo, dicevamo, è italiano, e non parlava francese dai tempi della scuola, dove l’aveva studiato un po’. In seguito non si è limitato a dare il buongiorno in francese al mondo ritrovato dopo il buio del coma, ma ha continuato a parlare, riferiscono i medici, utilizzando una «caricatura della lingua francese» – insomma, un po’ come l’Ispettore Clouseau, interpretato da Peter Sellers, nella serie di film sulla Pantera Rosa. Un francese pieno di errori, con accentuazioni esagerate, e con la gestualità parodistica, per l’appunto, del francese che si può vedere al cinema.
ANTICO AMORE
No, non si tratta di possessione diabolica, quella che un tempo certi sedicenti profeti e maghi chiamavano «carisma delle lingue», ma di una rara disfunzione neurologica di cui si registrano soltanto una sessantina di casi al mondo: si chiama sindrome compulsiva dell’accento straniero. Il paziente colpito non può fare a meno di parlare in una lingua straniera – in questo caso il francese – e non si scompone minimamente se gli altri non lo capiscono o lo correggono. Ma in JC la sindrome in questione non si è fermata a livello del linguaggio: no, lui è proprio convinto di essere francese in tutto e per tutto. Così vuole leggere giornali e libri francesi, mangiare pietanze francesi, bere vini francesi, e naturalmente parla in francese con tutti, non soltanto con i suoi parenti e amici, ma persino col suo commercialista o discutendo i vantaggi di un certo piano pensionistico. E, come detto, anche nei discorsi più seri utilizzando un francese per nulla corretto, anzi quasi caricaturale tant’è pieno di strafalcioni, e però con un atteggiamento che non tradisce alcun imbarazzo: niente, lui è francese e basta.
Una possibile spiegazione del perché la sindrome si sia manifestata proprio con la lingua francese e non, ad esempio, col tedesco o con l’inglese, sta nel fatto che, quando aveva vent’anni, JC aveva avuto una relazione proprio con una ragazza francese, ma per la verità il rapporto era durato poco, e l’uomo comunque in nessuna occasione aveva manifestato passione per la cultura o la cucina francese. Ma questo, evidentemente, era vero a un livello conscio. Dopo il coma, così ipotizzano i neurologi, è probabile che il suo cervello si sia per così dire resettato, ripescando dagli strati sepolti della memoria sporadiche conversazioni in francese con quella fidanzata di trent’anni fa e, chissà per quale bizzarro rimescolamento, abbia addirittura convinto il suo senso dell’identità di essere in effetti un cittadino francese. Che, però, scrive in italiano, unico residuo della sua passata identità.
IMMOTIVATA EUFORIA
Per aggiungere bizzarria a bizzarria, JC non solo parla francese, ma manifesta anche una singolare e immotivata euforia (quella che ogni mattina gli fa gridare «Bonjour!» alla finestra) che lui, ovviamente, chiama «joie de vivre», che vuol dire «gioia di vivere» (in francese, manco a dirlo). Insieme a questa, mostra anche comportamenti spiccatamente megalomani, che, ne siamo certi, non si offenderebbe se definiamo «grandeur». A causa della grandeur, ad esempio, avendo bisogno di una stampella, ne ha acquistate settanta. E qui non c’è dubbio: è quasi più francese dei veri francesi, maestri dell’esagerazione. Il timore è che, come nella più tradizionale iconografia dei picchiatelli da film, infili una mano sotto la camicia, l’altra dietro la schiena e si metta a discettare su come ribaltare la sconfitta di Waterloo.
Ora, un po’ come si dice dei sonnambuli (ma è falso, si possono svegliare benissimo, purché non bruscamente), sarà un compito delicato risvegliare JC dall’illusione di essere un discendente dei Galli, e persuaderlo che non ha nulla a che fare con il paese del generale de Gaulle, di Sartre, e delle Folies Bergère. D’altronde, tra «joie de vivre» e «grandeur», c’è il rischio che si rovini tracannando bottiglie di Chateau Lafitte Rothschild o di Champagne. Meglio far riatterrare il suo cervello in Italia, verso i vitigni più ruspanti e economici del Barbera.