Corriere della Sera, 10 giugno 2016
Non c’è un favorito, sono gli Europei dei mediani. Il commento di Mario Sconcerti
Quello che sappiamo è che non siamo i migliori, ma non sappiamo chi lo sia fra gli altri. Gli Europei non sono mai lo spettacolo delle differenze perché le squadre giocano sempre in modo simile, ma adesso la crisi dà una giustificazione in più all’uguaglianza. La Germania ha perso quattro delle cinque amichevoli di primavera, ha battuto solo l’Italia. La Spagna ha perso due giorni fa contro la Norvegia. Il Belgio ha i giovani più importanti ma insieme giocano male da due anni e stanno arrivando malissimo alla partita con l’Italia. La Spagna va peggio di tutti senza gli stranieri, non ha attaccanti. È annoiata e vecchia. In un mondo comune le difficoltà sono simmetriche, si equivalgono in tutti i sistemi, siano il calcio, la Borsa o l’arte. Questo significa che non siamo soli nei nostri disturbi. Si può cercare allora un migliore adesso? È molto difficile. Il torneo breve favorisce gli avventurieri, la qualità media del gioco cancella i fuoriclasse. Ronaldo nel Portogallo non ha mai fatto la differenza, Ibrahimovic nella Svezia nemmeno. Gli Europei di adesso mi sembrano il torneo dei mediani, gli uomini di mezzo cammino, né campioni né inerzia, quasi soltanto movimento e intelligenza. Questo val la pena di capire, se stiamo andando verso il gioco non istintivo, che pretende mezzi ma soprattutto collaborazione, mestiere. Un gioco di professionisti, non di maniaci. Aspettando l’Europeo ho visto solo due mezzi spettacoli: la Germania che travolgeva l’Italia e la Francia che giocava bel calcio contro la Scozia. È possibile abbia visto poche partite io, anzi, è augurabile, ma non salva il livello medio faticoso. Così alla fine, per chi guarda e per chi scommette, questa è la miglior condizione possibile, può succedere davvero tutto, siamo talmente in transito che possono tornare anche le grandi di un tempo, per esempio l’Inghilterra. Per esempio la piccola Italia ultima agli ultimi due Mondiali, mai, veramente mai, così aritmeticamente indietro nei valori, ma forse capace di tenere la corsa. Perché nessuno sa cosa possa servire. Siamo uguali, questo è l’imbarazzo.