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 2016  giugno 10 Venerdì calendario

Dopo l’auto che si guida da sola, quella che vola

Dopo l’auto che si guida da sola, quella che vola: è affascinante, col suo velo di mistero, la storia delle società Zee.Aero e Kitty Hawk raccontata da Brad Stone nel nuovo numero del «magazine» Bloomberg Business Week. Due compagnie fondate a un passo dalla sedi di Google a Mountain View. Ma non sono di Google (né della «holding» Alphabet) che, pure, controlla tutti i terreni dell’area. I dipendenti sono tenuti al segreto, ma si sa che Zee.Aero cerca di trasformare in realtà i sogni d’infanzia di chi è cresciuto nella seconda metà del secolo scorso: l’auto volante. Segreti anche i collaudi fatti in una vicina base della Nasa e in un piccolo aeroporto più lontano dal quale atterrano e decollano due prototipi quando non ci sono altri aerei in giro. Stone ha scoperto che Google non è coinvolta semplicemente perché il proprietario di Zee.Aero è, personalmente, il suo fondatore (e capo) Larry Page. Che, probabilmente, è dietro anche all’altra «start up»: la Kitty Hawk (stesso obiettivo da raggiungere con un progetto alternativo) basata a meno di un chilometro di distanza dalla Zee.Aero e presieduta da Sebastian Thrun, il geniale scienziato tedesco trapiantato in California che ha raccontato qualche mese fa al Corriere la sua esperienza di capo del progetto Google dell’auto che si guida da sola. Mistero: i dipendenti non possono nemmeno citare Page per nome. Devono usare l’acronimo Gus: «the guy upstairs», il tipo del piano di sopra. Sogno: Page, come anche Elon Musk e Jeff Bezos, spende centinaia di milioni per realizzare quelli della sua infanzia. Ma anche tecnologia vera: stavolta sembra concreta, promettente, come quella dell’auto-robot. Affascinati dal futuro favoloso che si delinea, rischiamo però di dimenticare che, assai prima dell’auto che si guida da sola, arriverà il camion-robot, più facilmente gestibile nel traffico regolato delle autostrade. I test sono ormai avanzatissimi negli Usa come in Europa dove sono al lavoro gruppi come Daimler Benz, Volvo e Volkswagen-Scania. Un grande progresso tecnologico, certo, ma anche nuovi problemi di disoccupazione: nei soli Stati Uniti sono tre milioni e mezzo i camionisti che rischiano di perdere il posto. Una bomba sociale da «disruption» tecnologica che nessuno sa come fronteggiare e che si somma a quelle che stanno già alimentando rabbia e populismi con non pochi pericoli per la tenuta dei sistemi democratici.