il Fatto Quotidiano, 9 giugno 2016
La griglia di partenza per questi Europei
Cin cin Europa. Si comincia domani, con Francia-Romania. Ventiquattro squadre, massimo storico: le volle Platini, poi decapitato dalla ghigliottina di Blatter. Campione uscente, la Spagna del fu tiki taka. L’Italia è stata regina nel 1968 – quelle sì, notti magiche tra la monetina di Facchetti e i lumi dell’Olimpico – vice nel 2000 e nel 2012. Tocca a Conte, allenatore del Chelsea. Ecco la mia griglia.
1) Francia. Nel bleu dipinto di bleu. Deschamps in pole, e non solo per il fattore campo. Che, tra parentesi, ha pagato appena in 3 edizioni su 14 (Spagna 1964, Italia 1968, Francia 1984). Non tutti possono permettersi di lasciar fuori gente come Benzema e Gameiro. Beati loro. Pogba al governo, naturalmente, con Martial, Coman, Giraud e, soprattutto, Griezmann. I problemi si annidano in difesa, proprio là, al centro del fortino. Le assenze di Varane, Sakho e Mathieu sono travi, non pagliuzze.
2) Germania. In passato, parafrasando Indro Montanelli, l’ingresso della Germania in campo era come l’ingresso di un elefante in un negozio di vetri di Murano. Grandi sportellate, grande frastuono. Oggi non più. Löw ne ha addolcito le geometrie, lo stile. Campioni del mondo in carica, la pancia piena induce spesso in tentazione: adrenalina o oppio? Con i tedeschi non si scherza. Anche se dovranno fare a meno di Lahm, Rüdiger, Gündogan e Reus. Occhio al talento di Draxler, classe 1993, Il simbolo rimane Thomas Müller, la cui duttilità tattica e tecnica lo rende difficilmente marcabile.
3) Spagna. Il problema è l’ambiguità del trasloco. Del Bosque dovrà barcamenarsi tra l’eurotitolo di Kiev e il fiasco mondiale di due anni fa. La scommessa Diego Costa non pagò. Urgono i gol di Morata. E di Nolito o Aduriz, perché no. Gli ultimi collaudi raccontano di una squadra che ogni tanto si dimette. Il 4-3-3 di base riassume un compromesso molto pratico, fra la dittatura del torello e la democrazia del contropiede. Le rughe di Iniesta rappresentano il confine: di qua la cronaca, di là la storia.
4) Belgio. Nella classifica Fifa, è al secondo posto dietro all’Argentina. Ci terrà a battesimo lunedì sera a Lione, dopo averci sconfitto 3-1 in amichevole lo scorso novembre. Da Hazard a Lukaku, da Mertens a De Bruyne e Ferreira Carrasco, l’ala che spaccò Real-Atletico di San Siro, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il limite continua a essere l’equilibrio. Il ko di Kompany ha sottratto a Wilmots il totem difensivo. La squadra tende all’anarchia. Basterà la ferocia di Nainggolan a cementarne i reparti?
5) Inghilterra. Unica ad aver vinto tutte le partite delle qualificazioni, il dato è tratto. Hodgson può disporre di una batteria di attaccanti che mette paura: Kane, Rooney, Sturridge, Vardy e il diciottenne Rashford, lanciato da Van Gaal nel Manchester United. L’England incarna un inno al paradosso: ha inventato il calcio moderno ma, zavorrata com’è da calendari assurdi, resta prigioniera del Mondiale casalingo del 1966. È sempre mancato qualcosa, qualcuno: se era tosta la difesa, era fragile il centrocampo; e se il centrocampo scoppiava di salute, l’attacco era tutto pelle e ossa. Attenzione a Rooney: gioca al servizio dell’idea, sembra proprio la bussola che i pulpiti invocano dai tempi di Bobby Charlton.
6) Italia. Non ricordo una nazionale così normale, così modesta. C’era una volta Pirlo. Per tacere di Marchisio e Verratti. Fantasia canaglia: il dieci a Thiago Motta è un segno dei tempi, come il recupero, provvidenziale, di De Rossi. Cercasi bomber, disperatamente. Titolare potrebbe essere Zaza, che alla Juventus è il quarto della lista. Un guerriero. A Conte non dispiacciono i fari spenti e le frustate dei critici. Come sempre, sarà la difesa, celebrata persino dall’Uefa, a indicare la rotta. Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini: il muro juventino. Possiamo perdere da molti, possiamo battere tutti.
7) Portogallo. Il Cristiano Ronaldo uscito vittorioso ma zoppo dalla finale di Champions alimenta dubbi non lievi. Impossibile immaginare ambizioni o traguardi che esulino dai suoi gol e dal suo tritolo. Cristiano ha offerto un’alternativa alla leggenda di Eusebio. Serve, adesso, un elemento capace di occupare la casella di Coluna, cervello del Portogallo più bello: Moutinho?
8) Croazia. Non escludo che possa diventare la sorpresa. Sul piano individuale è uno scrigno: Rakitic, Modric, Brozovic, Kovacic, Perisic, Kalinic, Mandzukic. A livello disciplinare, una polveriera. E comunque: palla al piede, da podio; palla agli altri, non ancora.
9) Svezia. La rosa è piatta, tutti aggrappati a Ibrahimovic. Di solito, è l’unione a fare la forza, ma in questo caso dovrà essere la forza (di Zlatan) a fare l’unione.
10) Polonia. Ospitò, con gli ucraini, l’ultima kermesse e si fece cacciare già al primo turno. Un disastro. Boniek presidente e Nawalka ct l’hanno letteralmente rivoltata. Parola d’ordine: non lasciare solo Lewandowski.
11) Albania. Lontano dal podio, entra a palazzo con l’orgoglio del Terzo stato. Il capolavoro di De Biasi. Avere il destino segnato non significa esserne schiavi: nell’anno del Leicester, questo è il messaggio, e questa la sfida.